Effetto Barbie, la bambola senza tempo trionfa al cinema

Potrà sembrare frivolo per alcuni, leggero per altri, eppure l’effetto Barbie si sta diffondendo a macchia d’olio dopo l’uscita dell’omonimo film al cinema.
Se la celeberrima canzone e colonna sonora scelta recita “I’m a Barbie girl, in the Barbie world/ Life in plastic, it’s fantastic/ You can brush my hair, undress me everywhere / Imagination, life is your creation”, numerose sono invece le versioni alternative, una tra le tante recita “Not your Barbie girl, I’m livin’ in my own world/ I ain’t plastic, call me classic/ You can’t touch me there, you can’t touch my body/ Unless I say so, ain’t your Barbie, no”, parole pronunciate in riferimento al dissenso verso l’oggettificazione femminile.
Gli incassi sono da record, 356 milioni nel mondo, miglior botteghino di sempre per Warner Bros con 9.2 milioni di euro solo in Italia, un’operazione di business colossale per Mattel, con le vendite che sono balzate del 20% a 1,24 miliardi di dollari nel secondo trimestre, superando le stime degli analisti.
La live-action sulla bambola più amata del mondo narra una storia ben più antica, iniziata nel lontano 1945 a Los Angeles, dove in un garage – luogo di nascita delle più famose aziende – nasce quello che oggi è il colosso dei giocattoli: Mattel.
Il marchio deriva dalla fusione dei nomi di due amici (Mattson ed Elliot). Fu però Ruth Handler, la moglie di Elliot, a determinare la nascita di quella che sarà conosciuta da tutti come Barbie. Accorgendosi che sua figlia Barbara preferiva giocare con bambole ritagliate direttamente da riviste e che avessero ruoli adulti, Ruth ebbe un’intuizione: creare una bambola dal corpo di donna in cui identificarsi nel futuro e capace di ricoprire qualsiasi ruolo nella società.
Se negli anni ’50 tale intuizione risultava prematura ed embrionale, nel 1956 a seguito di un viaggio in Svizzera, Ruth scopre in un negozio di giocattoli la bambola Lilli, tratta dal personaggio dei fumetti del tedesco Reinhard Beuthien e, una volta in America, la donna aiutata dall’ingegnere Jack Ryan, crea la prima Barbie, a cui assegna il nome della figlia, Barbara. La bambola snodabile esordisce in commercio il 9 marzo 1959, con indosso un costume da bagno zebrato, la pelle chiara e i capelli neri legati in una coda, mentre negli anni successivi apparirà quasi sempre bionda.
Nell’incipit del film appena uscito nelle sale – con un divertentissimo omaggio a “2001 Odissea nello spazio” – le bambine di fine anni ’50 distruggono le proprie bambole tradizionali, rimaste folgorate dalla bionda pin up che rivoluziona le loro aspettative. Apparentemente un esempio di consumismo senza precedenti, Barbie nasconde una portata ideologica responsabile dei nostri cambiamenti sociali.
Greta Gerwig, regista del film, cimentandosi con uno dei personaggi della cultura pop mondiale, interpreta e sfrutta alla perfezione la forza di una piccola bambola nella sua materialità, rendendola detentrice del ruolo di aggregatrice sociale.
Barbie Stereotipo (Margot Robbie) vive a Barbieland, un mondo matriarcale senza figli, imbevuto di solidarietà femminile, un Iperuranio platoniano – e platinato – dove ogni giorno è la copia del precedente, eppure non si perde mai l’entusiasmo per la vita, seppur priva di novità. Improvvisamente però, Barbie viene assalita da pensieri negativi ed esistenziali al pari di pensatori come Sartre, Kierkegaard e Schopenhauer e, dimostrazione evidente del cambiamento, sono i suoi piedi che diventano piatti. Come una delle migliori fiabe analizzata da Vladimir Propp secondo il suo famoso schema che prevede equilibrio introduttivo, rottura dell’equilibrio iniziale, azioni dell’eroe e ristabilimento dell’equilibrio, anche Barbie necessita di un aiutante: Barbie Stramba che spedisce Barbie Stereotipo nel mondo degli umani, alla ricerca della propria forma smagliante. Al suo fianco durante il viaggio appare Ken, protagonista di divertenti siparietti che fanno riflettere sul ruolo dell’uomo in una società patriarcale. “I’m Just Ken”, il nuovo brano interpretato da Ryan Gosling nei panni di Ken e colonna sonora del film, sta scalando le classifiche musicali sprigionando tutta la sua “ken-ergy”, che gli spettatori del film potranno comprendere. Eppure, in tanta contemporaneità, Barbie sembra radicare significati più profondi nel suo messaggio sociale: Atene, 411 a.C. La guerra del Peloponneso ha provocato perdite e distruzione non solo per gli uomini, ma anche per donne come madri, mogli, figlie. L’Ellade è stremata e in cerca di tranquillità e pace. Con la propria sagacia sempre pungente e mai scontata, Aristofane compone la Lisistrata, una commedia incentrata sul ruolo di una donna pronta a sacrificare il proprio piacere e quello delle sue concittadine per ristabilire l’ordine sociale e convincere gli uomini a sancire una pace duratura. Per la sua volontà e desiderio di isonomia – di cui abbiamo tanto bisogno nella nostra società contemporanea – la Lisistrata è un’opera straordinariamente moderna. Attuando un piano condiviso dalle altre donne e sottraendosi ai doveri coniugali dell’epoca, Lisistrata provoca un knock out nell’universo maschile rinunciando alla libido, forza motrice del mondo, a favore della realizzazione di un fine più nobile. Seppur con sfumature profondamente diverse, uno scenario simile è quanto si osserva in Barbie, nella scena in cui alleandosi tra loro le bambole-donne rompono le convenzioni sociali preferendo la solidarietà femminile e la realizzazione di un’idea
“Gli esseri umani prima o poi se ne vanno, le idee restano per sempre” afferma l’immagine di Ruth alla fine del film. Per quanto possa sembrare “solo una bambola”, Barbie ci dimostra che dietro un’immagine si nasconde tutto ciò che una bambina può sognare; Barbie può essere tutto, perché in fondo “She’s everything. He’s just Ken”.

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