Agricoltura: il prezzo più basso è il prezzo più giusto?
I giornali hanno riportato di recente la difficoltà della contrattazione tra produttori di pomodoro italiani e industria conserviera. La disputa verte su una differenza di circa 20 euro a tonnellata per il pomodoro convenzionale da industria, che, tradotto in cifre più vicine al nostro quotidiano, significa 2 centesimi al chilo. Con un chilo di pomodoro si producono circa 500 grammi di passata, quindi la disputa verte su 2 centesimi su una confezione da mezzo chilo di prodotto finito. Indipendentemente dal prezzo di produzione, gli altri costi, infatti, rimangono invariati: lavorazione, scarto, bottiglia, etichetta, tappo, cartone, pallettizzazione, trasporto, commercializzazione, sia che all’origine siano pagati 8 o 10 centesimi al chilo. Questo prezzo costringe gli agricoltori, ormai sull’orlo della disperazione, a produrre oltre 100.000 chili di pomodoro per ettaro, a usare enormi quantità di concime chimico, a utilizzare sistematicamente il diserbo chimico per controllare le infestanti e a depauperare gradualmente il suolo, dato che il pomodoro richiede grandi quantità di acqua e impoverisce enormemente la fertilità della terra. Un pomodoro “onesto”, da tutti i punti di vista, biologico o biodinamico, che non sfrutti il terreno, che preveda una giusta retribuzione per chi lo produce, che non inquini né il suolo e le falde, né le nostre tavole, dovrebbe essere pagato non meno di 25 centesimi al chilo. Questo sarebbe il giusto prezzo che non lascerebbe impagati costi ambientali e sociali, anche se il giusto prezzo andrebbe sempre contestualizzato nelle situazioni, nei momenti e nei luoghi particolari. E ciò vale per gran parte dei prodotti agricoli: latte, grano, uova, carne ecc. La domanda quindi potrebbe essere: ci sono consumatori disposti a pagare questi pochi centesimi aggiuntivi sapendo che garantirebbero così un prodotto sano e che permetterebbero un’agricoltura sostenibile? La risposta sarebbe sicuramente positiva almeno per una buona parte dei consumatori del ricco ed evoluto Occidente. Allora perché il problema è così difficile da risolvere? La risposta è complessa e semplice allo stesso tempo. Non sempre il sistema economico funziona in tal senso: chi compra il prodotto è sempre e solo il consumatore e gli altri oggetti sono solo intermediari. Quindi se il consumatore fosse disponibile a pagare questi fatidici pochi centesimi, che sarebbero vitali non solo per l’agricoltore, ma anche per la nostra salute e il nostro futuro, perché tanta tensione? Il consumatore è, nella maggior parte di casi, ignaro di tutto ciò che succede prima che il prodotto compaia sugli scaffali del supermercato. Se ci fosse questa trasparenza, se fosse informato e consapevole di cosa sottende al prodotto che gli sta di fronte, potrebbe fare una scelta consapevole. Il potere commerciale è totalmente nelle mani del consumatore; il problema sta proprio nel fatto che ne è inconsapevole. Un nuovo agire economico più sano ed equo non può che passare attraverso questa scelta di consapevolezza. Per una Terra sana, per un cibo sano, ma anche per un sistema economico sano, è necessaria una nuova alleanza fraterna tra chi produce, chi commercializza e chi consuma. Il coraggio della trasparenza sarebbe il primo passo in tal senso, da cui può nascere il dialogo e, a sua volta, la fiducia reciproca. Tutta l’economia di mercato si basa sul presupposto che l’essere umano sia fondamentalmente egoista e che nel gioco della domanda e dell’offerta ognuno miri alla massimizzazione del proprio tornaconto. Questo diventa purtroppo reale quando le persone non vivono una relazione personale, o quantomeno quando non conoscono la reale situazione in cui si trova la loro apparente controparte, in una situazione di un mercato anonimo nel quale nessuno ha la consapevolezza delle conseguenze ultime della propria azione. Se ci fossero coscienza e incontro tra le persone, questo farebbe emergere quel senso di comunità e di fratellanza che è insito in ogni uomo, nonché uno spirito empatico nei confronti di Madre Natura. Questo incontro porterebbe naturalmente al riconoscimento del giusto prezzo, come quel prezzo che garantisce un’equa distribuzione delle risorse e garantirebbe a tutti una giusta e sana sostenibilità economica.