Roberto Ghezzi: l’arte che racconta il cambiamento climatico
Il cambiamento climatico ridisegna le mappe geografiche. Il confine italo-svizzero ne è l’ultimo esempio. A causa dello scioglimento dei ghiacciai, soprattutto nella zona del Plateau Rosa, le autorità dei Paesi hanno deciso di aggiornare la delimitazione ufficiale. La Svizzera ha già approvato la nuova convenzione e l’Italia è ora chiamata a fare lo stesso. Tale modifica, dettata dall’emergenza climatica, sottolinea l’urgenza di affrontare il problema del riscaldamento globale.
In tale contesto l’arte, specchio dell’animo umano e riflesso della società, si fa portavoce dell’emergenza stimolando la nostra coscienza e invitandoci all’azione.
L’Istituto Italiano di Cultura di Oslo ospita, dal 26 settembre al 15 novembre 2024, una mostra dedicata all’artista Roberto Ghezzi. In collaborazione con l’Istituto Scienze Polari, l’esposizione esplora le profonde trasformazioni che il cambiamento climatico sta provocando nelle regioni artiche. La personale di Ghezzi è frutto di una proficua collaborazione internazionale tra Italia e Norvegia, l’artista ha infatti realizzato numerosi progetti in collaborazione con istituti di ricerca scientifica, portando avanti le sue sperimentazioni in luoghi remoti del pianeta come l’Alaska, l’Islanda e la Groenlandia.
Nato a Cortona nel 1978, Roberto Ghezzi ha affinato la sua formazione tra lo studio di famiglia e l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Inizialmente focalizzato sulla pittura, Ghezzi ha poi rivolto la sua attenzione al paesaggio naturale, conducendo ricerche approfondite e sperimentazioni sul campo. Dagli anni Duemila, l’artista ha presentato al pubblico le sue “Naturografie”, neologismo che indica opere direttamente in contatto con la natura, spesso in luoghi incontaminati, creazioni uniche che nascono da un processo artistico caratterizzato da una profonda interazione tra l’artista e l’ambiente naturale. Con il passare del tempo, gli elementi naturali come il vento, la pioggia, la luce del sole e gli organismi viventi lasciano impronte sulla tela, creando opere d’arte irripetibili. Il percorso artistico di Roberto Ghezzi, presentato in mostra, è il frutto di due intense esperienze di residenza: una in Groenlandia, presso la Red House di Tasiilaq, e l’altra alle Isole Svalbard, ospite dello Spitsbergen Artists Center. Entrambe le residenze, in collaborazione con l’Istituto di Scienze Polari del CNR, hanno permesso all’artista di immergersi in ambienti estremi e di creare opere uniche, ispirate dai paesaggi artici. In entrambi i casi, Ghezzi ha sfruttato la forza della natura per creare le sue opere: in Groenlandia, ha utilizzato la tecnica della cianotipia per catturare le tracce lasciate dal ghiaccio che si scioglie, mentre alle Svalbard ha realizzato un video documentando il movimento dei ghiacciai attraverso telecamere posizionate sui rivoli d’acqua, indagando anche la tematica dal fluire temporale di memoria eraclitea, fornendo una visione del mondo non come qualcosa di statico e immutabile, ma come un flusso continuo di trasformazioni.
Ghezzi, attraverso le sue installazioni, ci invita a riscoprire la bellezza e la fragilità dell’ambiente circostante, obiettivo in linea con i principi della Land art.
La Land art, o Earth art, rappresenta una rottura epocale con le forme artistiche tradizionali. Le opere, spesso effimere e site-specific, sono concepite per interagire con il paesaggio e con i processi naturali. Gli artisti, attraverso interventi che richiedono mesi, se non anni, mettono in discussione il concetto stesso di opera d’arte, spostando l’attenzione dal prodotto finito al processo creativo: in tal senso, la Land art si avvicina per molti aspetti all’arte concettuale, condividendo con essa l’interesse per l’idea e per il “concetto” piuttosto che per l’oggetto estetico. L’obiettivo è quello di unire l’arte alla natura, creando un’esperienza immersiva per lo spettatore che è portato a riflettere sul proprio rapporto con l’ambiente. Pur essendo un movimento che cerca di sfuggire alle regole del mercato dell’arte, la Land art non ne è completamente immune. Artisti come Michael Heizer e Walter De Maria hanno trovato modi per documentare le loro imponenti sculture: il primo scava gigantesche trincee a forma di parallelepipedo, mentre il secondo artista espone in una galleria tedesca 1.600 metri di terra. Immagini, video e certificati permettono di “possedere” anche solo visivamente un pezzo di queste opere uniche.
L’arte può aiutare a comprendere la complessità del cambiamento climatico e a rendere note le conseguenze a lungo termine delle nostre azioni: Olafur Eliasson, artista islandese, ha realizzato creazioni che esplorano il rapporto tra natura e cultura, come l’installazione “The Weather Project”, un tramonto lungo cinque mesi che ha illuminato la Tate Modern di Londra tra l’ottobre 2003 e il marzo 2004, invitando il pubblico a riflettere sulla propria percezione del tempo atmosferico. Agnes Denes è l’artista americana che ha realizzato diversi progetti di Land art su larga scala, come “Wheatfield – A Confrontation”, un campo di grano piantato a Wall Street per sottolineare l’importanza dell’agricoltura sostenibile. «Il problema oggi non è l’energia nucleare, ma il cuore dell’uomo» sosteneva Albert Einstein, anticipando profeticamente come l’uomo, per evitare catastrofi, debba operare un cambiamento profondo prima nella coscienza umana, per poter infine plasmare una nuova realtà e un mondo sostenibile in cui vivere.