Ricordi di un Professore delle parole e dei valori: Michele Vigliotti

Ricordo benissimo il mio Professore di Italiano. Un uomo apparentemente comune, con grandi occhi azzurri, bonariamente burbero, come amava definirsi. Indossava ogni giorno il suo amore per la letteratura e per il pensiero critico come una seconda pelle. Non era solo un insegnante: era un maestro di vita. Entrava in classe con una passione a dir poco contagiosa, portando con sé fogli di appunti pieni di annotazioni e una luce negli occhi che sembrava sfidare il tempo. Le sue lezioni non erano solo spiegazioni di Dante, Pirandello o Calvino: erano finestre aperte sul mondo, sulle sfumature dell’animo umano, sul senso profondo della bellezza e dell’etica. Ogni pagina che ci invitava a leggere diventava un viaggio, ogni parola pronunciata si trasformava in un valore trasmesso. Ci assegnava temi dai titoli provocatori, spesso utilizzando citazioni, aforismi o testi di canzoni. In questi tempi così meschini per i docenti, cosi vuoti di parole, me lo immagino ad assegnarci un tema dal titolo: “Cosa significa essere liberi?”. A quell’epoca, quella della scuola, la libertà per me era solo un concetto astratto, qualcosa che associavo più alla possibilità di uscire con gli amici che a una condizione interiore. Ma attraverso le sue indicazioni, scoprimmo che la libertà è innanzitutto la capacità di pensare con la propria testa, di scegliere chi essere, di opporsi all’ingiustizia e alla superficialità. Quelle lezioni mi aprirono gli occhi: scrivere non era solo mettere insieme parole, ma era un atto di resistenza, un atto di libertà. Oggi, ogni libro che apro, ogni articolo che scrivo, porta dentro una parte di ciò che mi ha insegnato. Lui non mi ha solo riempita di cultura, ma mi ha donato un senso di responsabilità: la consapevolezza che le parole possono costruire ponti, abbattere muri e soprattutto tramandare valori, per formare persone capaci di interrogarsi, di capire il mondo e di migliorarlo. Quando scrivo ai miei lettori, nel mio piccolo, lo faccio con la stessa dedizione con cui lui si rivolgeva a noi. Perché in fondo, essere maestri non è un mestiere: è un dono, è l’arte di lasciare il segno. E lui, quel segno, lo ha lasciato per sempre nel cuore di tutti i suoi studenti che ancora dopo tanti anni, lo immaginano seduto dietro la cattedra, ad interrogarsi sul perché della vita, delle azioni, dell’essere un individuo solido con dei principi reali, rimpiango questo modo di essere docenti, oggi è maledettamente difficile.

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