C’è un (Club) italiano, un(o) tedesco e uno spagnolo…
Brasile 2014 è alle porte. Le nazionali che vi parteciperanno cominciano ad affilare gli artigli, valutando attentamente ogni singolo calciatore che potrà essere utile alla causa. Anche in casa azzurra è tempo di osservazione ma, non lo si può nascondere, il reclutamento è certamente molto limitato rispetto ad altri Paesi. Il sistema calcistico italiano, da oltre 10 anni, vive disagi e, soprattutto, all’ombra delle superpotenze spagnole, tedesche e inglesi. Queste 3 nazioni, ormai, danno spettacolo in ogni tipo di competizione, sbarazzandosi in maniera facile di qualsiasi avversario.
L’Inghilterra, dal punto di vista regolamentare ed economico, da decenni è punto di riferimento per le altre nazioni. Qui, infatti, la maggior parte delle società è dotata di un impianto sportivo di proprietà che garantisce degli introiti costanti e che incrementa il valore patrimoniale del club stesso. Addirittura, una politica serissima e severissima ha ammansito tifosi scalmanati, quali gli “hooligans”, e generato una nuova concezione di sport (basti pensare che nella maggior parte degli stadi inglesi gli spettatori possono assistere alla partita sedendo quasi a bordocampo). La Spagna dal 2008, in maniera quasi monopolista, infrange record e fa incetta di trofei (nazionali, continentali e intercontinentali) in quanto partono da un assunto semplice: perché spendere milioni e milioni di euro per costruire una squadra, quando nei vivai possono crescere (baby) fenomeni sotto il profilo tecnico-atletico-professionale? È dato fattuale che chiunque si imbatta contro le “Furie Rosse” o contro qualche team spagnolo deve fare i conti con dei ragazzini che si divertono a giocare a calcio e sanno di valere quanto lo strapagato avversario. Infine c’è la Germania. Nazione temutissima sin dai tempi della Germania dell’Ovest (ma contro i quali, ad onor del vero, gli italiani si sbizzarriscono). Qui dagli anni ’90 in poi, come in Italia oggi, il settore calcistico ha dovuto fare i conti con lo “spread”: giocatori troppo anziani con rendimento troppo basso rispetto alle altre squadre. Cosa hanno pensato di fare per uscire da questo tunnel? Come i giapponesi, hanno “fotografato” il meglio dei sistemi calcistici all’avanguardia riproducendolo, in maniera quasi fedele all’originale, in patria. Quali i risultati? Nel giro di pochi anni le squadre tedesche hanno ricalcato la scena mondiale, soffiando qualche trofeo alle rivali spagnole.
E l’Italia? È fuori discussione la propensione degli italiani al calcio. Ogni decennio, dalla nascita della FIFA ad oggi, nel Bel Paese sono nati e cresciuti fenomeni calcistici. Diversi calciatori hanno ricevuto il Pallone d’Oro ma oggi la situazione è complicata. Da anni non si alzano al cielo trofei bensì sguardi tristi e disperati dei nostri beniamini usciti dagli incontri con le “ossa rotte”. L’ultimo mondiale nel quale ci siamo fatti valere è quello del 2006 (tra l’altro nel pieno polverone di “calciopoli”, cosa che ci fa poco onore). Il nostro campionato, al quale i pezzi da 90 del calcio hanno sempre strizzato l’occhio, ha perso consistenza e dato ancora meno confortante è il numero di stranieri che ogni domenica scende in campo, a discapito dei tantissimi baby fenomeni (non meno forti di quelli spagnoli) che vengono “riciclati” nelle serie minori. Questa è la dura verità e forse il motivo per cui difficilmente si vince (e vinceremo il mondiale): a 20 anni, in Spagna, fai la prima presenza nella nazionale maggiore, in Italia, alla stessa età fai la prima esperienza in Lega pro.