Le opere di Eduardo in Grecia di G. Katsantonis

Il Rione Sanità è sempre lo stesso, ma è trasmigrato al Pireo; i volti e i caratteri tipici di Napoli hanno continuato la propria missione, ma davanti al pubblico greco. Non è un argomento inflazionato, ma il teatro di Eduardo De Filippo ebbe in Grecia una più che felice accoglienza di pubblico e critica; la storia, la fama, le vicende e l’incontro tra due differenti culture teatrali e sociali sono ricostruite nell’interessante pubblicazione di Georgios Katsantonis, “Le opere di Eduardo De Filippo sul palcoscenico greco”, edito per conto de Ilmiolibro.it e richiedibile in tutte le Feltrinelli. Nato in Grecia, 26 anni, laureato a Patrasso in studi teatrali, proseguiti con il Master in “Letteratura, scrittura e critica teatrale” presso la Federico II, Katsantonis ha condotto un lavoro di ricerca su un tema che non ha mai goduto di sostanziose restituzioni bibliografiche, il che esalta la particolare tenacia nello scavo sulla fortuna di De Filippo in Grecia. Il testo in esame percorre tre assi scenici, ovvero le trasposizioni teatrali presso il Teatro d’Arte di Karolos Koun, presso il Teatro Nazionale Greco di Atene e presso il Teatro Nazionale della Grecia del Nord di Salonicco.  L’attività teatrale di Karolos Koun nacque nel 1942: tra il marasma e il timore dell’avvenuta occupazione tedesca, il suo sacrificio al Teatro rappresentò uno splendido titanismo nei confronti della Guerra Mondiale. Koun introdusse al pubblico greco autori della statura di Lorca, Beckett, Tennessee Williams, Brecht e, nel 1948, De Filippo. Il primo troncone della ricerca esplora la presa esercitata sulle scene greche da “Questi fantasmi”, che il 10 novembre 1948 segnò il debutto assoluto, “Napoli milionaria” e “Le voci di dentro”. Stessa metodologia per le trasposizioni avvenute ad Atene e per quelle a Salonicco, messe in scena che tra gli altri impegnarono, come rivela Katsantonis, scenografi di rilievo come Yannis Tsarouchis e Dimitris Mytaras. Ogni rappresentazione riporta relativa teatrografia, cast tecnico-artistico, fotografie ed apparato critico, nel quale ancora ribolle l’ammirazione sincera dei recensori ellenici; questi furono a buon motivo convinti che i personaggi eduardiani, la verace forgiatura che non li rendeva tipi ma veicolanti socio-antropologici, fossero alleati al modo dei Greci di percepire e rivivere il proprio millenario ethos. La risonanza del teatro di Eduardo si nutre di questo snodo interculturale, nonostante, come la monografia evidenzia, permangano differenze su più livelli di lavorazione. Conclude l’opera la postfazione di Errikos Belies, traduttore in greco di “Filumena Marturano”: vi si ribadisce, oltre ai meriti della drammaturgia eduardiana, come molti luoghi linguistici nella traduzione risultassero meno o per niente incisivi, e come la loro espressività non più lessicale si traducesse in esclusiva teatralità. L’affinità dei volti eduardiani di “vivere sul serio quello che gli altri nella vita recitano male”, riprendendo un passaggio della prefazione dell’autore, crearono alla metà del secolo un solido legame con la sensibilità greca e a Georgios Katsantonis va riconosciuta la capacità di averne riqualificato, in questa monografia, tutta la grandezza e l’inossidabilità di chi salì sul palco a vivere seriamente, piuttosto che esistere in farsa.

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