Enzo Baldoni: il ricordo dopo dieci anni
Il volto di Enzo Baldoni è sempre apparso come fusione di bontà incondizionata e di severa meditazione, un sorriso corrucciato a metà, con lo sfondo di due profondi occhi inclini a restringere le pupille. Il 26 agosto di dieci anni fa, in Iraq, il giornalista di Città di Castello veniva assassinato, nel luogo in cui stava lavorando sprovvisto di armi, o di caschi e di tuta mimetica. Appassionato di fumetti, che forse sul serio influenzarono la sua attitudine a testimoniare realtà ed episodi drammatici con efficace leggerezza, Baldoni fu tra i grandi pionieri del giornalismo in formato blog: aveva già collaborato con Repubblica, con La Stampa, ed ancora con Diario, la rivista milanese fondata da Enrico Deaglio, per la quale corrispondeva durante la permanenza in Medio Oriente. Come per altre vittime – ostaggio italiane nei teatri di guerra, anche in questa vicenda alcuni contorni di cronaca sono rimasti insoluti: frammenti video di provenienza integralista, da alcune testate accreditati per autentici, da altre smentiti come bufale, il che rinvia al mondo criptico dei servizi segreti e alle sue distorsioni, che finora nessuna inchiesta è riuscita a delucidare. Al di là di questa scarsa chiarezza, dopo dieci anni dal 26 agosto 2004 resta la scrittura irriverente, onesta, toccante, di un volontario di Croce Rossa che davvero decise di svolgere la personale missione di soccorso e di dialogo – per non usare, una volta tanto, la locuzione “missione di pace” – pagando per il proprio pacifismo il prezzo massimo, in mano a violenti che non importa più di quale religione, frangia politica o militare fossero adepti. Qui conta soltanto ricordare con gratitudine, sia il suo nome che il suo esempio, conta ringraziare che il suo sacrificio di lavoro e di umanità non sia andato disperso come sabbia o polveri del deserto iracheno. Ad Enzo Baldoni sono state dedicate alcune strade in Sicilia ed un centro professionale di Roma, ma più di tutto la sua figura ha ispirato alcuni brani musicali, tra cui “Prendere e partire” del gruppo Combat folk dei Gang e “Zolletta” di Alessio Lega. La più spensierata e ironica, come sarebbe piaciuto a lui stesso, resta però “Occhiali rotti” di Samuele Bersani; gli ultimi versi del brano riassumono tutto, ed è bello scriverli e rileggerli ancora una volta, con in mente il fischio informale che percorre l’arrangiamento: “I miei occhiali si son rotti, ma qualcuno un giorno se li metterà e, ad occhi semichiusi, attraverserà posti distrutti e silenziosi”.