Antonella Ricciardi intervista Domenico Letizia

La situazione dei diritti umani in Iran, oltre che in Paesi meno al centro dei riflettori internazionali al riguardo, tra cui l'Arabia Saudita, il più vicino agli USA e quello col regime più oscurantista e repressivo della regione, le speranze fiorite con i progressi nei diritti umani e sociali in Tunisia, nei giorni in cui un terrorismo puro, particolarmente indiscriminato, ha colpito Parigi: questi sono gli importanti e principali temi affrontati nell'intervista con il giovane dirigente radicale Domenico Letizia. Del resto, la situazione internazionale, divenuta incandescente, ha visto, per motivi di sicurezza, il rinvio della visita del presidente iraniano Rouhani in Italia e Francia: a questo riguardo, è utile ricordare anche l'importanza delle intense divisioni nello stesso mondo musulmano, molto disomogeneo e certo non monolitico: l'Isis, infatti (autoproclamato Califfato in parti di Iraq e Siria, con focolai anche altrove) ha una posizione radicalmente ostile agli islamici di confessione sciiita, che sono, invece, prevalenti nella Repubblica Islamica dell'Iran, il cui stesso governo è espressione di tale comunità. L'analisi di Domenico Letizia si sofferma sulla situazione iraniana, riguardo cui molte organizzazioni per i diritti umani da tempo hanno lanciato un appello per fermare le esecuzioni, che storicamente sono state frequenti e che hanno coinvolto spesso anche minorenni; a questo riguardo, si può approfondire la questione tenendo presente un articolo dello stesso Letizia pubblicato recentemente sul giornale "l'Unità", raggiungibile anche on line collegandosi alla seguente pagina web del quotidiano: http://www.unita.tv/opinioni/prima-di-incontrare-rouhani-renzi-aderisca-alla-campagna-di-nessuno-tocchi-caino/     
L'impegno del partito radicale risulta intenso anche nel caso di Paesi con governi teocratici ma legati all'Occidente, ma non per questo con una politica meno estremista: tra questi il governo dell'Arabia Saudita, tra i principali esportatori e finanziatori del fondamentalismo wahabita, che spesso ha alimentato il terrorismo politico-religioso: versione estremizzata ed "arcaicizzante" interna, sia pur in modo minoritario, al mondo sunnita; del resto, dietro l'escalation dell'Isis vi sono stati finanziamenti ed intromissioni belliche, guerrafondaie occidentali, tese a destabilizzare, ed a a volte distruggere, governi laici del mondo arabo. Importanti anche le riflessioni di Domenico Letizia sulle speranza positive germogliate in alcune aree del mondo islamico, riguardo il rispetto dei diritti umani e sociali: ad esempio nella Tunisia dopo la rivoluzione del 2011 (e, non a caso, la Tunisia ha visto atti terroristici che hanno danneggiato drammaticamente il turismo, colpendo, in questo modo, anche il governo, che vive anche di turismo) ed il Kurdistan. A proposito della distinzione che è sempre corretto attuare tra l'Islam in quanto religione, da una parte,  ed il terrorismo, dall'altra, è giusto ricordare quanto siano musulmani anche i tunisini impegnati nel progresso civile ed i curdi che hanno difeso la loro terra e la loro civiltà dal terrorismo. Questi ed altri sono quindi gli aspetto più di rilievo di questo dialogo con Domenico Letizia, sotto riportato.
Ricciardi: " Il partito radicale, anche in occasione di quella che doveva essere la visita del presidente della Repubblica iraniana, Rohani, in Italia, sollecita ed invita i rappresentanti dello Stato italiano a porre la questione del rispetto dei diritti umani al centro di ogni incontro ed intesa con i rappresentanti italiani: puoi cominciare a comunicare quanta rispondenza e sensibilità sul tema stai incontrando tra i rappresentanti dello Stato italiano al proposito?"
 
Letizia: "La tragica vicenda francese e la paura terroristica in Europa ha fatto saltare gli incontri del Presidente iraniano sia in Italia che in Francia. Nonostante ciò resta valido e vivo ciò che in questi giorni stiamo denunciando attraverso la pagina Facebook MovingRights4Iran e l’hashtag #‎DiteloaRouhani nel far conoscere ai cittadini e alla classe dirigente del nostro paese quali sono le continue violazioni dei diritti umani in Iran. La faccia moderata che l’informazione nazionale vuole appiccicare a Rohani è sostanzialmente falsità. Durante il corso del 2015 siamo già a 2000 esecuzioni nel paese. Non si tratta solo della pena di morte, ma anche le continue violazioni dei diritti delle donne, le violazioni delle convenzioni internazionali sui diritti del fanciullo e gli arresti continui di intellettuali, registi e poeti che con la satira e con il lavoro artistico denunciano quello che succede nel paese. Siamo quasi una ventina di ONG che svolgono tale campagna con il sostegno di qualche personalità, tra le quali Giulio Terzi, sempre presente nel sostenere campagne per l’affermazione dei diritti umani in Iran."
 
Ricciardi: "Siete intensamente impegnati nella campagna a favore dell'abolizione della pena di morte, e, in generale, per il rispetto dei diritti umani e sociali: puoi renderci partecipi, almeno con alcuni esempi tra i diversi possibili, di quale sia, secondo la vostra analisi, la situazione in Iran al riguardo, e di quali possano essere le vie per rendere più fruttuosa la diplomazia al proposito?"
 
Letizia: "Nel corso del 2015, ripetendomi, vi sono state più di 2000 esecuzioni nel paese. La Repubblica Islamica detiene il triste primato mondiale di esecuzioni di minorenni, che sono raddoppiate nel 2014 (almeno 17) e sono continuate nel 2015 (almeno 4), fatto che pone l’Iran in aperta violazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo e del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che pure ha ratificato. Le impiccagioni di appartenenti alle minoranze etniche e religiose per fatti non violenti o di natura essenzialmente politica si sono intensificate nel 2014 (almeno 32) e nei primi mesi del 2015 (almeno altre 16). Ma è probabile che molti altri giustiziati per reati comuni o per “terrorismo” fossero in realtà oppositori politici, in particolare appartenenti alle varie minoranze etniche iraniane, tra cui azeri, curdi, baluci e ahwazi. Accusati di essere mohareb, cioè nemici di Allah, gli arrestati sono di solito sottoposti a un processo rapido e severo che si risolve spesso con la pena di morte.  Le esecuzioni per motivi politici ordinate dalla Repubblica Islamica guidata da Hassan Rouhani sono l’ultimo capitolo di una storia iniziata nell’estate 1988 quando, in seguito a una fatwa di Khomeini, sono stati impiccati oltre 30.000 prigionieri politici, in massima parte simpatizzanti dei Mojahedin del Popolo Iraniano (PMOI), accusati di essere “nemici di Allah”. Mentre molte organizzazioni per la difesa dei diritti umani l’hanno definito un crimine contro l’umanità, molti dei responsabili di quel massacro fanno oggi parte della classe dirigente del regime. Come Mostafa Poor Mohammadi e Seyed Ebrahim Reisi, due dei cinque membri del cosiddetto “Comitato del perdono” che Khomeini aveva inviato nelle carceri e poi rivelatosi essere un “Comitato della morte”, divenuti oggi, rispettivamente, Ministro della Giustizia e Procuratore Generale della Repubblica Islamica. Anche i casi dello scienziato Omid Kokabee accusato dalla Repubblica Islamica dell’Iran di “contatti con governo ostile” che di Mohammad Ali Taheri, un cittadino iraniano condannato a morte perché accusato di “diffondere la corruzione in terra”, dovrebbero far riflettere su quello che avviene nel paese e sulla vera faccia “moderata” dell’attuale regime. Ritengo prioritarie le “parole proposta” di Sergio D’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino, che ha ribadito: “Le massime autorità dovrebbero presentare ad ‎Hassan Rouhani l’elenco delle violazioni dei diritti in Iran. Il rispetto dei diritti umani deve essere al centro di ogni incontro”.
 
Ricciardi: "Certamente è giusto non dimenticare la questione dei diritti umani, universalmente da riconoscere,  da rispettare, in Iran e dovunque nel mondo, ma spesso questa stessa questione viene messa in secondo piano, da molti governi, nel caso di Paesi vicini alla politica dell'unica superpotenza rimasta: ad esempio, ci sono il caso dell'Arabia Saudita e del Bahrein, luoghi dove la situazione al proposito non è affatto facile; tuttavia, il partito radicale transnazionale ha rivolto attenzione particolare, invece, pure alla questione dei diritti umani e sociali in quei Paesi: puoi raccontarci qualcosa di più al proposito?"
 
Letizia: "Posso riassumere che mai come ora e dopo i tragici fatti di Parigi, le migliaia di morti in Siria e in generale la situazione di continuo degrado di civiltà e morte perpetua nel mondo Medio Orientale pone al centro del dibattito transazionale la battaglia radicale per l’affermazione in ambito Onu e con la Lega Araba del progetto di Stato di diritto.  L’invito al governo italiano è quello di far propria la campagna di Marco Pannella, di Matteo Angioli, di Nessuno tocchi Caino, del Partito Radicale e di Non c’è pace senza giustizia per “la transizione dalla ragion di stato allo stato di diritto e per il diritto umano alla conoscenza” a partire dal mondo arabo e musulmano. D’altronde è diritto dei cittadini italiani ed europei conoscere lo stato dei diritti umani nel mondo Medio Orientale. Una profonda riflessione sulle violazioni dei diritti umani in Iran, Arabia Saudita, Pakistan, Siria, ecc.… è obbligatoria prima di qualsiasi incontro o dibattito pubblico. Invito alla lettura del chiarissimo e illuminante articolo del filosofo Aldo Masullo, pubblicato il 16 Novembre, per “Il Mattino”, intitolato: “Sfidare il terrore con la libertà” perché rappresenta un vero manifesto di proposta politica a quello che sta avvenendo. Si deve dare priorità al diritto, dare forza al Diritto, anche contro la “legalità” dei regimi; non dobbiamo mai dimenticare che dove vi è strage di diritto vi è strage di popolo. "
 
Ricciardi: "Siete in prima linea pure nell'appoggio al consolidamento delle libertà politico-sociali in Tunisia, che dopo la rivoluzione del 2011 è andata molto avanti al riguardo: puoi accennarci qualcosa in merito?"
 
Letizia: "La Tunisia, anche se in molti sembrano averlo dimenticato, è stata al centro del terrore terroristico. In Tunisia bisogna lavorare per rafforzare lo stato di diritto coinvolgendo il paese con l’Europa, rafforzando i legami culturali, politici e sociali con il nostro paese e con tutto il Mediterraneo.  Sostenere la transizione democratica in Tunisia attraverso la giustizia di transizione. La società civile è rifiorita dopo la rivoluzione, riconquistando il proprio ruolo, e si è rivelata un attore chiave nel promuovere la giustizia di transizione all’interno dell’agenda politica e del pubblico dibattito. Tuttavia, la società civile ed altri attori chiedono ulteriore supporto nello sviluppare le loro capacità relative alla giustizia, riconoscimento delle responsabilità e riparazione per violazioni di diritti umani. Con strumenti adatti, sostegno politico, incoraggiamento e visione condivisa, i cittadini della Tunisia possono ricostruire il loro paese, già spezzato, facendolo divenire un modello di democrazia, giustizia ed una roccaforte dei diritti umani. Il lavoro di Non c’è Pace senza Giustizia è incentrato su tale visione. Ad agosto 2011 Non c’è Pace senza Giustizia ha cominciato una mappatura generica della situazione del paese, lo sviluppo di specifici materiali sulla Tunisia, il coinvolgimento di alcune controparti e nel dicembre 2011 è stata inaugurata l’Accademia per la giustizia di transizione. L’Accademia è un’iniziativa congiunta per fornire uno spazio concettuale all’interno del quale diversi attori in Tunisia possano costruire e rafforzare le loro capacità a lavorare efficacemente sulla giustizia di transizione e rappresentare una cornice permanente all’interno della quale tutti i corsi di formazione sul tema possano essere organizzati. Attraverso l’Accademia ed il loro lavoro nel paese, Non c’è Pace senza Giustizia ha contribuito a rafforzare la capacità di un gruppo di esperti tunisini che hanno avuto precedente esperienza nel campo della giustizia di transizione. Il Gruppo Tunisino sulla Giustizia di Transizione è composto di esponenti chiave ed attori rilevanti ed i suoi membri sono stati formati sugli obiettivi e gli approcci della giustizia di transizione cosi come sulle tecniche ed i metodi di formazione. Mi permetto di aggiungere che un altro laboratorio politico da comprendere, rafforzare e tutelare è quello del Kurdistan, questa zona del mondo sta rivelando tante sorprese oltre che essere in prima linea nel contrasto al terrorismo di matrice islamica. "
 Introduzione e quesiti di Antonella Ricciardi: intervista ultimata il 17 novembre 2015

 
 
 
 

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