Il ritorno del vinile
Il vinile, anche noto come microsolco e dai più chiamato comunemente “disco”, è tornato prepotentemente alla ribalta dopo circa un trentennio di pretesa obsolescenza.
Dopo un’orgia di supporti ritenuti eterni e dei più vari formati digitali, da qualche tempo sempre più audiofili, ma anche gente comune che vuole solo sentire buona musica, stanno riscoprendo gli innumerevoli vantaggi del supporto musicale per antonomasia.
Ripercorriamo brevemente la storia del vinile. Il disco, come lo immaginiamo oggi, nasce nella seconda metà dell'800 ma diventa noto ai primi dell’900, come supporto musicale in gommalacca spalmata su un disco metallico, riproducibile dai grammofoni e facilmente intercambiabile. Già, i grammofoni, quegli oggetti costituiti da un corpo in legno sul quale, tramite un meccanismo ad orologeria caricato a manovella, girava un disco a 78 giri i cui solchi erano percorsi da un trasduttore, poco più di un chiodo, capace di vibrare e rendere i suoni impressi nella gommalacca diffondendoli nell’ambiente amplificati da un’ampia tromba in ottone.
Ed ecco che la memoria torna agli inizi del secolo scorso, dove tale apparecchio non poteva mancare nei preziosi arredi delle case “bene” della ricca aristocrazia o della facoltosa borghesia. I pensieri continuano a scorrere ed, ecco, siamo negli anni ’20, e il gracidante suono di una jazz big band o dell’ultimo charleston di successo proveniente da un disco suonato su un grammofono, s’accompagna con le immagini di uomini impeccabilmente in frac o smoking e di donne fasciate nei loro stretti abitini ricolmi di perline e di cappellini piumati.
Ma il tempo, come i pensieri, scorre veloce e siamo ormai all’inizio degli anni ’30, l’epoca nella quale si diffondeva l’energia elettrica in tutte le case. Così anche il romantico grammofono dovette presto aggiornarsi in favore di un nuovo mezzo di fruizione della musica: la radio.
Relegato sempre più come complemento d’arredo “vintage” dagli inizi degli anni ‘40 fu del tutto soppiantato dalle fonovaligie che si diffondevano sempre più, specie dopo la fine del secondo conflitto mondiale, sull’onda del jazz, del blues e del rockabilly, a causa della cultura americana dilagante in Europa.
Ed ecco che improvvisamente, il disco, come finalmente ancora oggi lo conosciamo, quello in vinile, esplose nella sua diffusione.
In molte case comparvero tali fonovaligie e, più modestamente, semplici giradischi, che potevano riprodurre i dischi in vinile nel loro moderno formato e le case si riempirono dell’ultimo singolo di successo del festival di San Remo in 45 giri o dell’LP, il Long Playing a 33 giri, ossia l’album nel quale vi sono più brani per facciata, della rock band del momento.
Tale successo è continuato, imperturbabile, migliorando la qualità di apparecchi e incisioni, sino agli inizi degli anni ’90 ovvero sino a circa dieci anni dopo che la Philips, la nota multinazionale dell’elettronica consumer, introdusse il supporto eterno: il CD (cioè il Compact Disc). Le promesse di tale supporto digitale (cioè dove la musica è registrata con una sequenza discontinua di 0 e 1) erano tante. L’eternità del supporto, la non degradabilità della qualità del suono nel tempo nonostante l'uso intensivo del disco, la indistinguibilità delle caratteristiche del suono da quelle offerte dalle migliori registrazioni analogiche su vinile (cioè dove la musica è registrata con continuità). Tutte promesse completamente vere solo idealmente. Inoltre, grazie alla possibilità di produrre copie uguali all’originale a basso costo l’introduzione del Compact Disk, contemporanea alla diffusione dei pc domestici, aprì la porta al diffuso fenomeno della pirateria musicale, contribuendo alla crisi del settore discografico. La verità è che il CD non è eterno ed è degradabile (ben lo sa chi, improvvisamente, scopre che il suo disco CD non è più leggibile) ed, inoltre, non dà le pretese garanzie di fedeltà della qualità del suono a meno di non utilizzare apparecchi di lettura piuttosto costosi e dischi CD appositamente registrati per essi. Dopo circa vent’anni di orgia digitale dettato dal potere della pubblicità di grandi case di elettronica consumer che molto hanno puntato Compact Disc, la verità che pian piano s'è fatta strada sino a divenire evidente a molti è che un disco analogico in vinile, se ben trattato, dura ben più della vita del suo proprietario e che se riprodotto tramite un impianto (giradischi, amplificatore, diffusori) di qualità appena minimale, dà filo da torcere alla pretesa perfezione della musica digitale ascoltata attraverso apparecchi “Hi-Fi” di bassa e media qualità (non parliamo nemmeno di quegli apparecchi compatti e multifunzione in vendita nell’ipermercato di quartiere, con i quali è del tutto impietoso il confronto).
Ecco, quindi, che il “vecchio” vinile sta iniziando a vivere una seconda giovinezza e sempre più case discografiche ne hanno ripreso la produzione. Analogamente, blasonate ditte costruttrici di giradischi (in gergo detti “piatti”) hanno ripreso talune linee di produzione e ad esse si sono affiancati nuovi marchi.
Il futuro sembra delinearsi con un lento, ma inesorabile, tramonto del CD, sempre più stretto dalla più flessibile e pratica “musica liquida”, cioè la musica senza eccezionali pretese qualitative, è scaricabile da internet in vari formati più o meno compressi come il noto .mp3 (con tutti i problemi di pirateria connessi alla estrema portabilità di tali formati) e, dall’altro, perdendo terreno a causa della tuttora insuperata qualità della musica analogica assicurata da un buon impianto Hi-Fi e da un vinile conservato in ottime condizioni. Unico vantaggio di tale mutato andamento del mercato, è il conseguente ribasso dei prezzi dei Compact Disc, specie se ci si rivolge a produzioni musicali non recentissime ancorché di qualità (il mercato offre oggi CD di musica rock, jazz o classica che hanno fatto la storia dei rispettivi generi), a tutto vantaggio di quei consumatori che preferiscono questo tipo di supporto