Il Dolore Cronico e la Terapia del Dolore (Terza Parte)

Il ristoro del danno morale tenderà, nel caso dei congiunti più stretti, ad attingere soglie quantitative alquanto elevate, se è vero che poche evenienze al mondo sono, di regola, fonte di un dolore così intenso come la visione di un proprio caro che soffre, specialmente quando la sofferenza appare inutile o gratuita). Alla responsabilità civile non saranno accreditabili se non modeste valenze funzionali, sotto i profili della deterrenza e della prevenzione del danno. Se la messa in opera del mezzo aquiliano può, in generale, valere a sensibilizzare la classe medica di fronte ai problemi di un corretto trattamento del dolore, attenuando a monte cautele ingiustificate, o scoraggiando atteggiamenti esageratamente difensivi, è palese come si tratterà di fattori inidonei ad incidere, se non in via indiretta, sulla qualità della vita dei pazienti. Non è da sottovalutare, comunque, come non manchi all’infermo la possibilità di ottenere in via d’urgenza i provvedimenti utili a scongiurare, almeno parzialmente, i rischi di guasti imminenti e irreparabili.
Non vi è incertezza alcuna, che i presupposti per l’attivazione del rimedio di cui all’art. 700 c.p.c. saranno tutti, in effetti, riscontrabili nel caso di una persona gravemente sofferente, e addirittura morente, alla quale il medico trascurasse di somministrare ingiustificatamente i rimedi indispensabili contro il dolore.
Nessun dubbio c’è sulla validità del requisito del fumus boni iuris (lett. fumo, cioè apparenza di buon diritto), presupposto necessario per ottenere, nell’ambito di un processo civile un provvedimento cautelare e nello specifico, dinanzi alla negligenza o all’imperizia di un sanitario, colpevole di aver omesso il ricorso a qualche trattamento dovuto; come pure sulla necessità di riconoscere la presenza degli estremi del pregiudizio imminente ed irreparabile nell’ipotesi di un paziente lasciato in balia di dolori atroci, ma farmacologicamente lenibili, che apparissero incompatibili con la dignità umana e con i principi della qualità della vita.
Oggi, l’attività forense di numerosi studi legali sul territorio nazionale si sta concentrando su  queste problematiche.
Si sono posti l’obbiettivo di analizzare il mondo reale che ruota attorno a questa piaga della società, di studiarne ogni singola sfaccettatura e, utilizzando le armi e i mezzi in dotazione alla propria attività professionale, combattere battaglie sicuramente dure in difesa di tutte quelle persone che il destino ha condannato alla sofferenza fisica. Uno studio di Napoli, ad esempio, ha scritto lettere al Ministro per la Salute, evidenziando il lungo stato di inattività dell’unica normativa vigente, legge 15 marzo 2010, n. 38 sul dolore cronico e sulla terapia del dolore,  inattività, come già detto, che ha relegato l’Italia in coda agli altri stati europei. Dal 2010 ad oggi, anziché aumentare i poli di riferimento sono stati addirittura ridotti i posti letto di ben 24.155 unità. Il Commissario Straordinario nominato dallo stesso Governo, ha eliminato la maggior parte dei servizi di cura presenti nelle strutture ospedaliere preposte, demandando il tutto a complessi territoriali, detti “Hospice”, i quali sono numericamente insufficienti e muniti di personale non idoneo alla complessità dell’assistenza per cui sono destinati.
In parole povere, siamo di fronte ad un cane che si morde la coda. Ma a chi giova tutto questo spreco di risorse? Chi trae vantaggio da questo silenzio istituzionale? Sicuramente non i pazienti. Di converso, non si spiega il largo utilizzo della tecnica di iniezioni epidurali di corticosteroidi in malati terminali cronici afflitti da dolori insopportabili alla schiena, con un rapporto rischio-beneficio assolutamente sfavorevole, essendo dimostrato che la somministrazione di questi farmaci può condurre a gravi effetti neurologici avversi e non solo. Di contra, se tale trattamento dovesse essere comunque scelto, quantomeno i pazienti dovrebbero essere informati sulla mancanza di efficacia dimostrata e sui rischi a cui sarebbero esposti. Così non è.
Si è chiesto al Ministro perché il suo Ministero favorisce alcune tecniche dubbie in luogo di altre più sicure, perché regna questa incertezza sull’efficacia di alcune terapie analgesiche che, nonostante tutto, vengono somministrate agli ignari malati affetti da dolore cronico e perché se il S.S.N. ritiene validati scientificamente alcuni farmaci non ne dispone la rimborsabilità. 
Tutto ciò, purtroppo, serve solo a  conferma la tesi che la L. 38/2010, pur essendo eccellente sulla carta, è rimasta una mera utopia di politica sanitaria, mancando del tutto un occhio vigile sulla sua concreta applicazione.
Anche in tema di Scheda del dolore, che a norma della suddetta Legge deve essere tassativamente contenuta nella cartella clinica di ogni paziente, nulla è rinvenibile. Sono addirittura ben pochi gli operatori che ne conoscono l’esistenza, al punto che, nella migliore delle ipotesi, tale modulo viene stampato ed allegato ma non compilato, nella più totale indifferenza del personale medico-sanitario e degli Organi di controllo.
Come possono, dunque, le ASL, le Regioni e il Ministero non rendersi conto che i propri operatori sanitari sono totalmente disinformati circa la terapia del dolore? Come può passare inosservata la disapplicazione pari all’80% delle Schede del dolore nei nostri presidi ospedalieri? Quel che è peggio è che questa situazione va inserita in un quadro sociale in cui i dati epidemiologici indicano che in Italia vi è un sempre più crescente numero di pazienti affetti da grave dolore cronico, la cui possibilità di cura varia da regione a regione, creando una forte discriminazione tra soggetti risiedenti all’interno dello stesso Paese.
Queste innumerevoli voci, corali e forti, echeggiano nell’auspicio che il Ministero per la Salute prenda a finalmente a cuore questa importante realtà e dia forza ai rivoli stagnanti di un fiume che aveva tutti i presupposti per scorrere dignitosamente nel proprio letto di legalità.                            FINE

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