Dallo sbarco alleato in Campania alle donut di Homer Simpson
La stagione estiva 2017 si avvia oramai al tramonto, e con essa le tante feste patronali che amalgamano, nei nostri bei paesini, cultura religiosa e tradizione laica in un mix di statue sacre e piatti tipici locali accompagnati, sempre più spesso, da nuovi prodotti arrivati in Italia a partire soprattutto dalla fine del 1943, quando gli angloamericani occuparono e risalirono il nostro Paese per annientare la follia nazista nel Vecchio continente. Uno dei dolci americani più noti in Europa, grazie anche alle tante serie televisive arrivate massivamente dagli States negli anni ’70 (i polizieschi in particolare), è la famosissima ciambella glassata o “donut”, quella piccola prelibatezza fritta nota anche grazie al fenomeno dei “The Simpsons”, l’irriverente serie animata di Matt Groening nella quale compare di continuo insieme all’immancabile birra Duff. La storia di questa bontà d’oltreoceano, che oggi troviamo quasi sempre in cornetterie, bar e pasticcerie italiane ad affiancare i tipici prodotti dolciari nostrani, parte dal lontano ‘800 e, non senza sorprese per alcuni lettori, dall’Olanda che ne esportò la versione primitiva in forma di torta al taglio con, udite udite, grossi problemi di cottura. Eh si, in effetti se questo dolce olandese, l’Olikoek (dolce fritto all’olio), arrivò in America agli inizi dell’800 grazie alla forte ondata migratoria europea, in particolare a New York, la sua trasformazione, dovuta a problemi di conservazione e trasporto sulle navi che solcavano l’Atlantico, avvenne nella seconda metà dello stesso secolo. Il dolce olandese, una sorta di grosso panettone fritto, restava spesso crudo nel centro a causa della necessità di equilibrare la doratura dell’esterno con la cottura interna, rendendo problematico il consumo completo del prodotto stesso. Furono gli americani, si dice grazie al Capitano Hanson Gregory e a sua madre Elizabeth, che trasformarono il dolce in ciambella perché, dopo alcuni tentativi di differente preparazione, ci si rese conto che l’unica soluzione era proprio eliminare la parte centrale del prodotto che non si riusciva a cuocere del tutto. Lo stesso nome completo originale, doughnut, che è composto dai termini “al centro” e noce”, ci ricorda che i primi esperimenti per il miglioramento della sua cottura, attribuiti appunto alla signora Elizabeth Gregory, passarono per l’inserimento di noci, candidi e scorze di limone nella problematica sezione centrale, con l’ovvio scopo di coprire il non perfetto gusto lasciato dall’incompleta frittura della pastella. Diventate poi ciambelle con il buco, e avviata la volgarizzazione e semplificazione del termine, esse acquisirono il più conosciuto nome di donut e si diffusero in tutto il mondo penetrando anche il complicato mercato gastronomico italiano. Questa diffusione massiva in Italia, però, fu generata da un evento tragico che stava sconvolgendo non solo il nostro Paese ma l’intera Europa: la Seconda Guerra Mondiale. Come molti ricordano, il 1° ottobre 1943 gli angloamericani entrarono a Napoli occupando tutti i migliori edifici della città, come poi avvenuto anche a Caserta e in tanti altri centri campani, e impiantarono uffici, caserme e centri logistici, oltre che veri e propri centri commerciali all’americana, come nei locali della UPIM a Napoli, dove gli italiani iniziarono ad entrare in contatto con la differente cultura gastronomica anglosassone. Come si può leggere anche nel mio libro “La guerra dimenticata” (Edizioni Boopen, sito ufficiale del progetto www.icadutidipietra.it), secondo di una trilogia che si occupa proprio delle deturpazioni e delle trasformazioni culturali avvenute a causa della guerra, “…le requisizioni, alcune insensate, apparivano quasi come una ricostruzione urbana e sociale, come se gli occupanti avessero iniziato a riorganizzare una nuova civiltà anglosassone nel cuore pulsante del sud Italia…”, e tutto ciò significò anche l’arrivo massiccio delle famose ciambelle glassate accompagnate dalle tavolette di cioccolato nerissimo, dalle sigarette d’oltreoceano e dalla carne in scatola. I soldati americani avevano cuochi specializzati, dei soldati un po’ particolari che si occupavano di sfornare, con macchine automatiche, migliaia di ciambelle al giorno per gli stores delle zone già occupate (Napoli e Caserta in particolare), e per i fanti al fronte che le ricevevano dalle mani delle crocerossine o dagli stessi colleghi della logistica che rifornivano di munizionamento gli uomini durante i combattimenti. Dalla fine del ’43, quindi, l’Italia divenne terra di conquista per la gastronomia americana, e i cittadini furono spinti a provare, anche per fame, i nuovi strani prodotti degli Yankees a stelle e strisce, che di li a poco, tra l’altro, avrebbero cambiato e controllato per sempre anche il nostro sistema dello spettacolo e dell’arte visiva, americanizzando il Bel Paese grazie ai film “con le pistole”, agli inseguimenti spettacolari di poliziotti super coraggiosi, e ai primi moderni film di fantascienza con ufo e supereroi mascherati! La nostra musica, quella che aveva fatto scuola in tutta Europa, fu via via messa da parte per far posto al rock & roll, e gli hamburger del McDonald’s iniziarono a farsi spazio tra le italianissime “merende a pane e formaggio o mortadella”, completando quella ricostruzione urbana di cui abbiamo parlato prima. Molti di questi prodotti americani hanno poi vissuto una seconda rinascita, soprattutto in questi primi anni del nuovo millennio, grazie alle mediatiche pressioni modaiole di spot e serie televisive, alcune davvero simpatiche e, quindi, seguite da buona parte degli italiani. Chi non ha mai desiderato assaggiare l’arcinota e mitica birra “Duff” che il buontempone Homer Simpson, personaggio principale dell’omonima serie a cartoni, letteralmente tracanna ad ogni puntata? E chi, ridendo di questo buffo ma rappresentativo personaggio della cultura americana, non ha mai avuto l’acquolina in bocca vedendo quelle gustose ciambelle glassate consumate avidamente e alle quali, per chi non lo sapesse, l’America ha anche dedicato una festività nazionale? Eh si, spesso le giovani generazioni credono, immaginano, suppongono che questi prodotti siano arrivati in Europa con la globalizzazione, quindi in tempi relativamente recenti, ignorando che la Seconda guerra mondiale, oltre ai disastri in termini di perdite umane e di perdite culturali, ci regalò anche la prima velata integrazione culturale, quella del consumismo spinto, del cinema americano e di alcuni prodotti gastronomici che, tutto sommato, abbiamo accolto con piacere nel nostro più impegnato e serio repertorio enogastronomico. Lo sapevo, mi è venuta voglia di una donut al cioccolato! Buon rientro a tutti gli amici lettori.