Il datore di lavoro non può controllare le mail dei dipendenti

Un’importante sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è stata depositata in data odierna in materia di diritto al controllo della corrispondenza e quello alla vita privata del lavoratore. Per la Grande Camera delle Cedu, presidente Guido Raimondi, il datore che controlla arbitrariamente le mail dei dipendenti viola il diritto alla vita privata e alla corrispondenza. Nella fattispecie ad essere condannata è la Romania nel caso 61496/08, in un precedente che è ovviamente esteso a tutti gli aderenti alla Convenzione, compreso l’Italia, e si esprime a favore di un ingegnere romeno licenziato nel 2006 per motivi disciplinari dall’azienda ed in particolare per aver utilizzato per fini personali internet, telefono e fotocopiatrice dal posto di lavoro. Per i giudici europei, al contrario, quelli rumeni non si sono assicurati se la privacy del lavoratore fosse sufficientemente protetta da eventuali abusi da parte del datore. La decisione in questione è assai significativa, in quanto nella stessa vengono fissati i paletti entro i quali il datore di lavoro può monitorare le comunicazioni informatiche dei dipendenti e che costituiscono i parametri entro i quali anche i giudici nazionali non potranno più sottrarsi al fine della verifica di fattispecie analoghe. Per i giudici di Strasburgo, infatti, le corti dei paesi aderenti devono accertare sempre se l’accesso del datore è legittimo verificando anzitutto se il lavoratore risulta avvisato che l’azienda può controllare la sua corrispondenza, su come le misure saranno messe in atto e perché. La natura delle verifiche deve essere chiara prima che le captazioni siano poste in essere. Senza una previa notifica l’amministratore del sistema non può accedere alle comunicazioni del lavoratore. E l’autorità giudiziaria deve accertare che le misure di sorveglianza servano soltanto agli scopi annunciati. Il monitoraggio, poi, non può superare determinati limiti pena un’intollerabile intromissione nella privacy del lavoratore: è dunque necessario distinguere tra il flusso delle comunicazioni e il loro contenuto. Inoltre, deve essere chiaro quanti e quali comunicazioni sono state monitorate, per quanto tempo, e quante persone hanno avuto accesso ai risultati della sorveglianza. In ogni caso, sta al giudice appurare se il datore fornisce ragioni sufficienti a giustificare il controllo delle comunicazioni e non poteva adottare metodi meno invasivi. Insomma, la Grande chambre CEDU rovescia la decisione contraria all’ingegnere romeno e rileva la violazione dell’articolo 8 della convenzione europea dei diritti umani sul diritto alla vita privata e familiare, al domicilio e alla corrispondenza.

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