Licenziamento illegittimo. La Cassazione da ragione ad un dipendente della Fiat
Una buona notizia per un lavoratore dello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco che era stato licenziato dopo la partecipazione ad una manifestazione sul referendum dei lavoratori dell’azienda automobilistica dopo aver giustificato l’assenza per malattia della figlia minore è anche un precedente significativo per tutti i dipendenti illegittimamente licenziati per la ricognizione che fa la Corte di Cassazione sul concetto di giusta causa. Per la Suprema Corte, con la sentenza n. 21062, pubblicata oggi 11 settembre 2017, il giudice di merito anche se non è vincolato dalle tipizzazioni di giusta causa del licenziamento contenute nella contrattazione collettiva, deve compiere un accertamento in relazione sia alla gravità dei fatti addebitati al lavoratore, che alla proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, con valutazione dell'inadempimento in senso accentuativo rispetto alla regola generale della "non scarsa importanza" dettata dall'art. 1455 c.c. Nella fattispecie, i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso di un operaio che, pur avendo mandato un certificato dal quale si evinceva la necessità di assistenza in favore della figlia di due anni, ed una volta ricevuto rassicurazioni dal medico curante, si era recato a una manifestazione sindacale presso i cancelli dello stabilimento di Pomigliano d’Arco indetta in occasione del noto referendum dei lavoratori Fiat. Dopo essere stato ripreso dalle telecamere era scattata la contestazione disciplinare e quindi il licenziamento. Il recesso era stato impugnato e in primo grado aveva incassato la reintegra. La sentenza del giudice del lavoro era stata ribaltata dalla Corte d’Appello di Campobasso e ora nuovamente messa in discussione in sede di legittimità. I giudici della Suprema Corte, nel caso in questione, effettuano una disamina sul concetto di giusta causa di licenziamento, passando in rassegna numerosi precedenti in materia della stessa Corte, secondo cui il giudice del merito non può non tener conto di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del fatto, «alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo-alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettive, all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello spesso, all'assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo». Ciò tanto più se si considera che la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell'elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all'intensità del profilo intenzionale, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell'elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare. Insomma, il fatto contestato e accertato dovrà «ai fini di una corretta applicazione del principio di proporzionalità, integrante la giusta causa del licenziamento intimato, essere comparato con le sanzioni conservative (ammonizione scritta, della multa e della sospensione) in riferimento alle ipotesi (di assenza dal lavoro o di abbandono del posto di lavoro senza giustificato motivo ovvero giustificazione entro il giorno successivo) stabilite dall'art. 9 del CCNL di categoria applicabile ratione temporis, di cui denunciata la violazione sotto il profilo esaminato». La parola alla Corte d’Appello di Napoli quale giudice del rinvio.