Napoli e Padova unite nell’arte e nel dolore
La storia dell’artigliere napoletano Benedetto Ferriol. L’Europa democratica dei giorni nostri, composta da 28 differenti paesi membri, continua a mostrare contraddizioni incomprensibili con spinte separatiste come nel caso dell’attuale prova di forza catalana nei confronti dell’unità democratica spagnola. Forse noi italiani, soprattutto del sud, siamo già abituati a queste strane incongruenze, che ci portiamo dietro dall’Unità d’Italia, avendo subito a più riprese attacchi politici tesi a demonizzarci e presentarci al mondo come territorio parassitario e, soprattutto, come popolo da evitare perché associato alla criminalità e al disordine civico e morale. Niente di più falso ovviamente, “ma si sa che la gente da buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio”, ed i pregiudizi sono quasi sempre il modo più veloce per portare acqua al proprio mulino e battere i concorrenti in ambito economico, produttivo, turistico e chi più ne ha più ne metta. Il nostro Paese, passato da “mera espressione geografica” a nazione d’arte, di geni e di industrie, visse le due grandi tragedie del ‘900, le guerre mondiali, anche come momento fondamentale per unire il destino di ciò che precedentemente era diviso e barricato. Uomini che, legati alle proprie terre di provenienza, si ritrovarono a condividere le differenti tradizioni locali sotto il colore della bandiera italiana e di una quasi incompresa uniforme militare. Fatta l’Italia van fatti gli italiani dicevano, ma, dopo aver scoperto la vicenda di Benedetto Ferriol, giovane artigliere napoletano in servizio a Padova nel 1944, posso affermare che gli italiani furon fatti anche durante le tragedie della Seconda guerra mondiale. Come Napoli, città più bombardata di quel tremendo conflitto, tante altre città furono colpite durante gli attacchi aerei che dal 1940 al 1945 martellarono la nostra arte, le nostre attività e le vite di tanti nostri concittadini. Tutto il nostro Paese è ed era un museo a cielo aperto, ed ogni più piccolo borgo nasconde e nascondeva tesori preziosissimi invidiati in tutto il mondo. Padova, anch’essa stratificazione di genti, arte e mura, fu coinvolta nella guerra portata al suolo prima dagli aerei inglesi e poi, dal dicembre del 1942, dai più temibili velivoli americani. La città del “santo portoghese”, ritiratosi nel territorio patavino intorno al 1230, quel famoso Sant’Antonio di Padova conosciuto per i suoi 13 miracoli al giorno, era già ad inizio secolo territorio noto in tutto il mondo per la bellissima cattedrale “del santo”, per le sue mura, per la Cappella giottesca degli Scrovegni, nonché per l’eccezionale presenza della Chiesa degli Eremitani con gli straordinari affreschi del Mantegna nella Cappella Ovetari. Una città che gli stessi aviatori inglesi osservavano con stupore e piacere quando tornavano dagli attacchi sull’area veneta di Mestre, zona spesso bombardata per la presenza delle importanti e strategiche raffinerie di petrolio. Una città connessa a Napoli sia religiosamente, grazie alla forte devozione partenopea per il santo patrono patavino, sia per il filo artistico che la lega, grazie allo scultore modenese Guido Mazzoni, anche alle città di Ferrara, Modena, Venezia e Busseto. Il bellissimo “Compianto sul Cristo morto”, presente a Napoli nella Chiesa di Sant’Anna de’ Lombardi, più conosciuta come Chiesa di Santa Maria di Monteoliveto, colpita dal bombardamento tedesco del 15 marzo 1944, subì analoghe deturpazioni nelle altre città del nord unendo a filo doppio la storia di centri tanto distanti quanto vicini nell’arte e nelle sue espressioni religiose. Ma più di tutto, e sempre con la costante presenza dei nostri tesori culturali, nel febbraio del 1944 il sangue unì la storia di Napoli e quella di Padova, quando l’8 febbraio, durante uno dei più distruttivi bombardamenti che la città stava subendo per colpire la stazione, nonché gli importanti snodi ferroviari che si diramavano dal suo territorio, circa 200 inermi civili condivisero con un artigliere napoletano, il giovane Benedetto Ferriol, gli ultimi istanti della propria vita. Nelle mura rinascimentali cittadine, come da prescrizioni emanate dal regime fascista, era stato ricavato uno dei tanti rifugi pensati per proteggere i civili dai bombardamenti angloamericani, un luogo ritenuto sicuro perché ospitato nelle solide strutture antiche che ancora oggi circondano e caratterizzano il territorio patavino. Nel cosiddetto Bastione Impossibile, quindi, un’antica fortificazione cilindrica del passato padovano, che poteva solo idealmente ospitare circa 700 persone, la sera dell’8 febbraio 1944 corsero numerosi cittadini allertati dal suono delle sirene che annunciavano un attacco imminente, tra cui, chissà per quale coincidenza, si ritrovò anche il giovane artigliere Benedetto Ferriol, soldato che prestava servizio presso il 20° Reggimento Artiglieria Piave, un giovane adulto che aveva lasciato la famiglia in un sud troppo distante a quei tempi, distanza che poteva essere colmata solo da romantiche cartoline che ho avuto il piacere di visionare. Ma le speranze di un ritorno a casa, magari anche solo per una licenza, furono spezzate dai bombardieri del 205° Heavy Bomber Group della Royal Air Force britannica, un team addestrato al “bombardamento pesante” che centrò in pieno numerosi tesori di Padova, ma, soprattutto, centrò in pieno e beffardamente la volta di quel Bastione che si pensava impenetrabile e nel quale, purtroppo si consumò una gravissima strage: circa 200 persone spazzate via in un sol colpo. Benedetto Ferriol, che comparve subito nell’elenco ufficiale dei deceduti, amalgamò la sua storia di napoletano a quella di tanti altri cittadini provenienti non solo dall’urbe patavina, ma anche da Piacenza, Ravenna, Vicenza, Fabro, Francavilla al mare, Mantova, Torino, Venezia, Gela, Matera, Rieti e Roma. Tutta l’Italia rappresentata in un bastione rinascimentale colpito in pieno da una bomba assassina, durante una guerra assurda causata dalla follia di un piccolo uomo d’oltralpe e dai suoi ancor più criminali seguaci tedeschi. Un mio doveroso saluto arrivi, lo spero, a tutte le vittime di quella tragedia, e al nostro fratello Benedetto che non potè più riabbracciare la moglie ed i familiari, né vedere ancora una volta i verdi paesaggi della Campania e le stradine colorate di Napoli. Mai più la guerra.