Un passato scomodo

In questi giorni ricorre il centesimo anniversario della rivoluzione d’ottobre, l’atto conclusivo della rivoluzione russa che portò alla nascita dell’Unione Sovietica, il primo Stato comunista al mondo. La rivoluzione del 1917, guidata da Vladimir Lenin, capo dei bolscevichi russi, ha segnato una pagina decisiva nella storia del Novecento: basti solo pensare che “Il secolo breve”, una delle opere più importanti sul secolo scorso, realizzata dallo storico statunitense Eric J. Hobsbawn, inizia nell’anno di nascita dello Stato sovietico e termina con la sua dissoluzione nel 1991. L’eredità di quell’entità politica è stata raccolta dalla Russia dei nostri giorni, una nazione che, per certi versi, si avvicina di più alla Russia precomunista e zarista. Inoltre il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, che ha militato nei servizi segreti sovietici, è soprannominato “lo zar” per il suo autoritarismo e per la sua forza politica. Il “Times” lo ha inserito tra i cento uomini più influenti al mondo e la sua politica è temuta e osteggiata dai leader del mondo occidentale. L’URSS fu certamente, soprattutto nella fase staliniana, uno Stato autoritario e totalitario, che poco aveva a che fare con le teorie ispiratrici di Marx e di Engels. Ma, soprattutto da un punto di vista economico e, seppur con molte riserve, culturale, l’Unione Sovietica richiamava un determinato modello ideologico che sicuramente non ha stretti legami con l’attuale Federazione Russa, che si professa come uno Stato, almeno sulla carta, liberale e democratico. Dunque i dirigenti russi si trovano ad affrontare una questione spinosa, tanto più in un anno di celebrazioni come questo. Negli scorsi anni Putin ha preferito sorvolare su questo anniversario; ma negare l’identità sovietica è pressoché impossibile, data la già citata importanza dello Stato comunista nel corso del ventesimo secolo e nella storia del Paese. Tuttavia una sua eccessiva esaltazione potrebbe essere pericolosa, data la lontananza  ideologica della Russia dei nostri giorni, e soprattutto scomoda per i politici odierni. Il presidente Putin ha più volte cercato di rifarsi alla tradizione precomunista, promuovendo feste che ricordassero il passato zarista, come ad esempio la “Festa dell’Unità Nazionale” del quattro novembre, che celebra l’anniversario della liberazione di Mosca dall’occupazione dei polacchi, avvenuta nel 1612 (però, secondo un sondaggio del 2014 dell’istituto indipendente Levada Center, solo il 16%  dei russi intervistati ha detto di conoscerla). D’altro canto, il presidente Putin festeggia ogni anno, in stile “sovietico”, la “Giornata della Vittoria”l’otto maggio per celebrare la vittoria della Russia sovietica sulla Germania nazista. Ciò che risulta evidente dunque è che convivere con il proprio passato è difficile, pericoloso, ma necessario perché negare la storia, negare le vite di quegli uomini che lottarono e crederono in determinati ideali non possono essere dimenticati perché costituiscono le identità di ogni popolo, nel bene e nel male.

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