Arte, cibo per gli occhi

È possibile coniugare l’amore per la storia dell’arte con l’interesse gastronomico? Sembra proprio di sì. Autrice del connubio è Mariella Carrossino, docente di Storia dell’Arte fino al 2008 presso il Liceo Artistico Barabino di Genova. Il volume “Mangiare con gli occhi” edito da Sagep nel 2016 fornisce un’analisi dell’opera d’arte e un quadro storico-culturale delle abitudini alimentari in una data epoca e regione.
Spaziando dalle scene di caccia dei graffiti preistorici, passando dai mosaici pompeiani fino alle opere più famose del Rinascimento come “L’ultima cena”, il cibo ha sempre ricoperto un ruolo di rilievo attraverso temi e soggetti iconografici ricorrenti con peculiari modalità rappresentative.
Fouquet, con il “Banchetto di Carlo V il saggio” del 1455, offre informazioni sulla posateria: ogni commensale ha due coltelli, un contenitore per il sale, un tovagliolo, del pane e un piatto. È evidente la mancanza della forchetta che avrà diffusione dopo il Seicento.
Ne “Il mangiatore di fagioli”, realizzato tra 1584 e 1585, Annibale Carracci ferma in un flash fotografico un affamato contadino intento a consumare il suo pranzo a base di fagioli, cipolle, funghi e pane.  
Arcimboldo con “L'imperatore Rodolfo II in veste di Vertumno” del 1591 ci dona, attraverso un vivace trompe-l’oeil, un manieristico accostamento di prodotti ortofrutticoli che ritraggono l’eccentrico sovrano.
Note le nature morte di tanti pittori, immancabile la “Canestra di frutta” di Caravaggio del 1596. Il cesto ritratto al centro di un tavolo pone l’attenzione sul campo semantico dell’opera: il cibo.
Lo scintillio degli acini d’uva, le rotondità splendenti della pera e del limone, i frutti marci, i chicchi d’uva secchi sottendono la precarietà della vita e la crudeltà del tempo che trascorre inesorabile.
“La colazione sull’erba” di Manet realizzato tra il 1862 ed il 1863 ritrae un frammento di vita quotidiana: la colazione è momento di incontro e di unione conviviale tra i personaggi rappresentati.
Con il XX secolo giungiamo a singolari realtà figurative: Botero con il suo “Picnic” del 1989, illustra un uomo che riposa dopo il pasto. Il cibo, simbolo di gioia e vitalità, è enfatizzato dal volto vermiglio del protagonista.
Bacon con “Une carcasse de viande” del 1980 conferisce al tema un carattere horror: all’artista il compito di trasmettere il lato più oscuro del cibo nel secondo dopoguerra.
Uno dei maggiori rappresentanti della Pop Art americana, Warhol, riproduce cibi preconfezionati e li caratterizza per l’ossessività del loro allineamento sugli scaffali dei supermercati. Per alcuni un inno all’omologazione alimentare, per altri una contestazione alla società di massa di quegli anni, per altri ancora una testimonianza del nascente universo visivo su cui si fonda oggi la nostra “società dell’immagine” che con la Food Art è diventata sempre più sinonimo di performance artistica: il cibo diventa colore e paesaggio, il piatto una tela da dipingere con inventiva e originalità.

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