‘O piennolo

Esiste un prodotto della nostra terra che, per quanto si sia fregiato del marchio DOP, in realtà forse non vanta una conoscenza ben radicata sul territorio nazionale. Esso è tipico dell’agricoltura campana, specie dell’area del Vesuvio, ed è così antico da essere rappresentato persino nel tradizionale presepe napoletano. È il pomodorino del “piennolo”, che supera tutte le altre varietà per la sua bontà che gli ha permesso di conquistare un posto d’onore in molti piatti della cucina partenopea. Riconoscerlo è molto facile, perché presenta una forma e delle caratteristiche che lo rendono inconfondibile. Si discosta dagli altrettanto famosi pomodorini di Pachino, con i quali ha in comune le piccole dimensioni e la forma a ciliegia, per la presenza di due solchi laterali, chiamati coste, e di una punta o pizzo all’estremità (ragion per cui, nella lingua locale, prende anche il nome di “spongillo” o “spuncillo”). La buccia è spessa e resistente, la polpa soda e compatta, povera di succo, e il sapore è dolce-acidulo. Due in particolare sono le principali pratiche di conservazione del pomodorino: al “piennolo” o “pendolo”, che consiste nell’intrecciare il grappolo appena raccolto con un cordino di canapa e poi sospeso in luoghi areati al fine di favorirne una lenta maturazione e la conservazione fino alla stagione invernale (grazie a questa pratica, da cui deriva il suo nome, sapore e profumo diventano sempre più intensi man mano che passa il tempo), e “a pacchetelle”, secondo un’antica ricetta familiare che prevede la conserva in vetro. Le testimonianze storiche si intrecciano con la leggenda e quindi se da un lato notizie sul prodotto sono riportate dal Bruni, nel 1858, nel suo "Degli ortaggi e loro coltivazione presso la città di Napoli", ove parla di pomodori a ciliegia, molto saporiti, che "si mantengono ottimi fino in primavera, purché legati in serti e sospesi alle soffitte" o dal Palmieri che parla della pratica nell'area vesuviana di conservare le bacche della varietà p'appennere in luoghi ombrati e ventilati, dall’altra si crede che il colore rosso sia dovuto a piccole gocce della lava del Vesuvio che, nutrendo l’ortaggio, gli danno vita e resistenza. Una simpatica storiella che si racconta a Torre del Greco, invece, vuole che le mogli dei marinai intrecciassero le reti da pesca utili ai loro uomini quando andavano per mare, mentre quando questi erano via usavano la stessa tecnica per intrecciare i “piennoli”. Un tempo spuntino veloce dei contadini dei campi che usavano “schiattarlo” sul pane con olio, sale e basilico, oggi conferisce anche ai piatti più semplici della tradizione campana un sapore davvero unico ed inconfondibile.

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