Letteratitudini: conclusa la serata del Siddharta di Hermann Hesse

(Elisa Cacciapuoti) – Anche l’incontro del mese di Aprile 2018 si è concluso felicemente, dice Matilde Maisto, coordinatrice del gruppo di Letteratitudini, e continua “Questa serata si è svolta all’insegna della serenità e della calma, il carma del “Buddha storico ci ha portati a meditare, a riflettere, a leggere dentro noi stessi.
Buddha che significa l’illuminato, il  Risvegliato , deriva dalla radice Sanscrita Budh che significa “conoscere”,  Egli è quindi  l’Uomo che si è Risvegliato dal sogno di vivere la vita come viene normalmente considerata, che sa chi è veramente. Secondo il suo insegnamento “Ieri non esiste. Domani non arriverà mai. Esiste solo l’Oggi”.
Per quanto riguarda il "Siddharta", più che in altre opere di Hesse, si notano le sue profonde radici culturali di filosofia orientale, che tuttavia mai diventano dogmatiche o pretenziose nei confronti del lettore. E' una storia dalla forte strutturazione fiabesca, leggera, rilassante, ma estremamente sottile stilisticamente, evocativa ed allegorica. Essa narra della vita del giovane Siddharta, che col suo amico Govinda, decide di tagliare definitivamente le sue radici con il suo paese natale, per incamminarsi in un viaggio all'insegna dell'esperienza e della conoscenza. Dopo una breve parentesi ascetica dagli anziani saggi Samana, presso i quali apprende le nobili arti del digiunare, pensare e pazientare, Siddharta si avventura da solo nella futile vita degli "uomini-bambini", ovvero nella quotidianità dell'uomo comune, condannata ad un'eterna lotta tra gioia e dolore, povertà e ricchezza, amore ed odio, ansia e soddisfazione, ma che alla fine non rende niente all'uomo, se non fugaci note emotive, intercalate dalla monotonia e dalle dipendenze. Dopo molti anni decide quindi di abbandonare tutto e tutti, nonostante sia ormai segnato fisicamente e psicologicamente dall'età, per continuare il suo viaggio, ancora speranzoso di raggiungere la "conoscenza ultima".
Nella storia di Siddharta, il momento più esaltante del racconto è quello dell’Illuminazione, quando leggiamo: A ogni passo del suo cammino Siddharta imparava qualcosa di nuovo, poiché il mondo era trasformato e il suo cuore ammaliato. Vedeva il sole sorgere sopra i monti boscosi e tramontare oltre le lontane spiagge popolate di palme. Di notte vedeva ordinarsi in cielo le stelle, e la falce della luna galleggiare come una nave nell'azzurro. Vedeva alberi, stelle, animali, nuvole, arcobaleni, rocce, erbe, fiori, ruscelli e fiumi; vedeva la rugiada luccicare nei cespugli al mattino, alti monti azzurri e diafani nella lontananza; gli uccelli cantavano e le api ronzavano, il vento vibrava argentino nelle risaie. Tutto questo era sempre esistito nei suoi mille aspetti variopinti, sempre erano sorti il sole e la luna, sempre avevano scrosciato i torrenti e ronzato le api, ma nel passato tutto ciò non era stato per Siddharta che un velo effimero e menzognero calato davanti ai suoi occhi, considerato con diffidenza e destinato a essere trapassato e dissolto dal pensiero, poiché non era realtà: la realtà era al di là delle cose visibili. Ma ora il suo occhio liberato s'indugiava al di qua, vedeva e riconosceva le cose visibili, cercava la sua patria in questo mondo, non cercava la « Realtà », né aspirava ad alcun al di là. Bello era il mondo a considerarlo così: senza indagine, così semplicemente, in una disposizione di spirito infantile. Belli la luna e gli astri, belli il ruscello e le sue sponde, il bosco e la roccia, la capra e il maggiolino, fiori e farfalle. Bello e piacevole andare così per il mondo e sentirsi così bambino, così risvegliato, così aperto all'immediatezza delle cose, così fiducioso. Diverso era ora l'ardore del sole sulla pelle, diversamente fredda l'acqua dei ruscelli e dei pozzi, altro le zucche e le banane. Brevi erano i giorni, brevi le notti, ogni ora volava via rapida come vela sul mare, e sotto la vela una barca carica di tesori, piena di gioia. Siddharta vedeva un popolo di scimmie agitarsi su tra i rami nell'alta volta del bosco e ne udiva lo strepito selvaggio e ingordo. Siddharta vedeva un montone inseguire una pecora e congiungersi con lei. Tra le canne di una palude vedeva il luccio cacciare affannato verso sera: davanti a lui i pesciolini sciamavano a frotte rapidamente, guizzando e balenando fuor d'acqua impauriti; un'incalzante e appassionata energia si sprigionava dai cerchi precipitosi che l'impetuoso cacciatore ricacciava nell'acqua. Tutto ciò era sempre stato, ed egli non l'aveva mai visto: non vi aveva partecipato. Ma ora sì, vi partecipava e vi apparteneva. Luce e ombra attraversavano la sua vista, le stelle e la luna gli attraversavano il cuore. Cammin facendo Siddharta si ricordò anche di tutto ciò che gli era successo nel giardino Jetavana, della dottrina che vi aveva ascoltato, del Buddha divino, della separazione da Govinda, della conversazione col Sublime. Gli ritornarono alla mente le sue stesse parole, quelle che aveva detto al Sublime, ogni parola, e con stupore si accorgeva che in quella occasione aveva detto cose di cui, allora, non aveva ancora esatta coscienza. Ciò ch'egli aveva detto a Gotama: che il segreto e il tesoro di lui, del Buddha, non era la dottrina, ma l'inesprimibile e. ininsegnabile ch'egli una volta aveva vissuto nell'ora della sua illuminazione, questo era appunto ciò che egli cominciava ora a sperimentare. Di se stesso doveva far ora esperienza. Già da un pezzo s'era persuaso che il suo stesso IO era l'Atman, di natura ugualmente eterna che quella di Brahma.
A mio avviso, conclude la Maisto, Siddharta è un romanzo meraviglioso, assolutamente da leggere. Ritengo  che esso sia un testo davvero unico, che induce profonde riflessioni sul senso della vita, sul tempo e sulla più profonda essenza della natura, di tutte le cose che vi appartengono. Lo consiglio a tutti, ad ogni categoria di lettore; è un libro dal quale puoi estrapolare tanti più significati quanti più vuoi riceverne.
Possiamo infine dire che nessuno ha ribadito il potere della parola scritta meglio dello scrittore premio Nobel per la letteratura in un bellissimo saggio del 1930 intitolato “La magia del libro”, nel quale egli afferma: Tra i tanti mondi che l’uomo non ha ricevuto in dono dalla natura, ma ha creato grazie alla propria mente, il mondo dei libri è il più grande . Senza la parola, senza la scrittura dei libri, non c’è storia, non c’è nemmeno il concetto di umanità. E se qualcuno vuole provare a racchiudere in un piccolo spazio, in una singola casa o in una singola stanza, la storia dello spirito umano e farlo proprio, può riuscirci solo nella forma di una raccolta di libri.

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