Il vino che piaceva a Papa III Farnese: l’Aglianico
Parlare di vino in Italia vuol dire immergersi nella cultura di un paese dove è possibile scorgere distese di vigneti ovunque. Ogni singolo vino prodotto nel nostro Bel Paese ha la sua caratteristica, che lo contraddistingue a seconda del territorio in cui i vigneti vengono coltivati. Grazie soprattutto alle sue favorevoli condizioni climatiche, la Campania vanta una tradizione enologica tale da poter competere con realtà di prestigio assoluto come la Toscana, il Veneto e il Piemonte. Nel panorama ampelografico campano costituisce una delle varietà più rappresentative l’Aglianico, il vitigno che forse conta la più ampia diffusione nelle diverse aree a vocazione viticola, ma è anche quello più ricco di citazioni e riferimenti storici. Ci sono buone probabilità di pensare che il vitigno sia stato introdotto dai Greci o Ellenici fin dalla fondazione di Cuma o in occasione delle successive migrazioni. Potrebbe identificarsi, dunque, con il vitigno che, noto con il nome di Ellenica o Ellanica, veniva utilizzato in epoca romana per produrre il Gaurano derivante dall’area del Massico. Etimologicamente, infatti, pare derivare da una corruzione di Hellenico, prima in Hellenica e, successivamente in epoca aragonese, in Aglianico, mediante la trasformazione di “ll” in “gl”. Ricca di citazioni è la letteratura del ‘500, all’interno della quale è degna di menzione l’affermazione di G.B. della Porta per il quale “le nostre viti Hellaniche sono le Helvolae degli antichi” o quella di Sante Lancerio, bottigliere di Paolo III Farnese, che riferendosi ai gusti enoici di sua Eminenza, scrive: “Viene dal Regno di Napoli, dalla montagna di Somma, dove si fa il buon Greco. Tale vino è rosso, et non è manco grande e fumoso del Greco, massime quando si fa la vendemmia asciutta. A volere conoscere le loro perfezioni, vuole essere odorifero, di poco colore e pastoso. Di tali vini S.S. beveva molto volentieri, et dicevanli bevanda delli Vecchi, rispetto alla pienezza”. La storicità del vitigno e l’originalità dell’espressione sensoriale dei vini che da esso derivano costituiscono un elemento di forza in uno scenario, come quello campano, che, recuperando a grande velocità i ritardi accumulati negli anni, oggi si colloca nel panorama nazionale come una delle realtà più vitali ed avanzate.