Centenario Follereau
Pietravairano – Ecco alcuni versi tratti dal breve componimento “Signore, ecco i tuoi lebbrosi”, di Raoul Follereau. “…Signore, ecco i tuoi lebbrosi, senza nomi e con i volti tumefatti, i ributtanti, i rifiuti, gli immondi che portano come tua croce tutta la miseria del mondo..”. Li citiamo non a caso, visto che lo scorso 26 gennaio, è ricorso il centenario della nascita di Follereau, il cui nome è indissolubilmente legato alla lotta contro la lebbra, e la cui vita, nella sua interezza, è stata continuamente scandita dal recuperare, spingendosi negli abissi oceanici del totale menefreghismo umano, la comune sensibilizzazione verso la malattia. La gandhiana rivolta di Follereau, e il suo ostinato voler demolire a tutti i costi il lago dell’indifferenza, considerata da egli stesso “un male ben peggiore delle lebbra”, ha spianato la strada all’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau” (AIFO), fondata nel 1961. A più di 20 anni dalla scoperta di una cura risolutiva, si continuano a diagnosticare 2000 casi di lebbra al giorno, di cui 200 sono bambini. Se noi italiani ancora non riusciamo a capacitarci dell’esistenza di questo male, perché lo riteniamo in qualche modo “arcaico”, perché ci giova il pensare che sia figlio di un terzomondismo che non ci appartiene, o semplicemente perché lontano dalle nostre case, ricrediamoci. E ricrediamoci, nonostante la cosa possa sembrare impensabile, soprattutto perché in Italia ci sono decine di lebbrosai. Anche Pietravairano ha voluto ricordare la nascita di Follereau, e, nella Chiesa Madre, tantissimi barattoli di “miele della solidarietà”, sono stati venduti, per raccogliere proventi da destinare all’AIFO. Quest’ultima ha centinaia di volontari impegnati nella ricerca, ed ha restituito un futuro a migliaia di bambini. E allora, diamo spazio ai versi conclusivi del sopracitato componimento di Follereau: “Signore, ecco i veri lebbrosi, gli egoisti, gli empi, coloro che vivono nell’acqua stagnante, i comodi, i paurosi, coloro che sciupano la loro vita”, capaci magari di indurci ad una pausa riflessiva, che, mentalmente, potrebbe farci sentire fuori, anche se per una frazione di secondo, dalla gabbia dell’umano disinteresse.