Gramsci, ultimo paladino a combattere contro una storia scritta dai vincitori

“Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti.” Articolo “Il lanzo ubriaco” di Antonio Gramsci , dal giornale ’Avanti! del Mercoledì 18 Febbraio 1920 – Edizione Piemontese .
Nei testi non ufficiali di molti storici e apprezzati scrittori di libri sul tema, si condanna il risorgimento Italiano fermo restando però, che poi al primo squillare di tromba di un Alessandro Barbero qualsiasi, storico medioevalista al soldo della Rai, e anti borbonico, gli stessi storici attestano , con la coda tra le gambe e una grande fuga vigliacca, che il Piemonte era l’unica Regione Italiana abilitata ad unificare l’Italia.
Nelle dichiarazione, amicali garantiscono che “il nord ha un grosso debito nei confronti del sud”; tutti, a parole, sono antimeridionalisti.
Luigi Maganuco afferma di Paolo Mieli: “Sulla mafia, cita una nota del parlamentare Angelo Brofferio del dicembre del 1861, pochi mesi dopo la morte di Cavour, parlando alla Camera dei deputati del governo Sardo a Torino; Il governo non si accorge che la sua polizia è composta d’uomini che non hanno rossore di trattare coi ladri, cogli assassini, coi malfattori d’ogni specie?”.
Ma la realtà di tutto questo chiacchiericcio rimane l’oblio ufficiale nei confronti delle parole di Gramsci, un silenzio tombale ufficiale ma che non è tale in camera caritatis, quando si è tra amici e senza l’amplificazione mediatica delle Tv di Stato o dei giornali di regime.
I ricercatori storici, gli scrittori di libri, gli amanti della verità storica si sono fermati al coraggio del leader socialista ammazzato dalle carceri mussoliniane, la loro è una vigliaccheria che va oltre le intimazioni di Barbero, che nascono da molto più lontano.
Per prendere coscienza dobbiamo avere il coraggio di raccontare i tanti delitti effettuati nel Regno delle Due Sicilie come quelli dell’invasione di Capua, Civitella del Tronto, Messina, Gaeta, gli eccidi di Fragneto Monforte, Scurcola Marsicana, Montefalcione, Fagnano Castello a opera di Fumel, Pontelandolfo e Casalduni, Bronte, le uccisioni di Domenico Fuoco di San Pietro Infine, di Giuseppe Schiavone di Sant’Agata di Puglia, di Nicola Summa di Rionero di Potenza, Michelina De Cesare di Caspoli, e tanti altri uomini eroi venuti da fuori come Josè Borjes, Alfred De Trazegnies, che si opposero al regime Sabaudo che la storiografia di regime ha definito briganti. Serve ricordare i soldati eroici di Fenestrelle, ancora umiliati, con quella lapide rotta che li ricordava per dare onore, storia raccontata bene dal giornale “La Civiltà Cattolica”. Il battagliero foglio vaticano, impegnato in una coraggiosissima campagna contro la farsa dell’Unità d’Italia, il liberalismo e altri mali del secolo, aveva pubblicato nel gennaio del 1861 un articolo nel quale si descriveva il trasferimento di una parte dei prigionieri a Fenestrelle come “un espediente crudele e disumano, che fa fremere”, escogitato per spezzare la resistenza di “soldati fedeli al loro giuramento militare ed al legittimo Re gettandoli peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimar di fame e di stento fra le ghiacciaie”.
Un articolo definito in seguito da Barbero ad “altissimo tasso di mistificazione”, un attacco il suo, attraverso la televisione di Stato, che tutti noi duosiciliani paghiamo, senza avere però nessuna possibilità di controreplica al tizio in questione, perché la Tv di regime non lo consente, informazione bugiarda e monotematica.
Certo qualcuno si scandalizza se alcune volte prendiamo come riferimento i nostri storici: Savarese, Calà Ulloa, Giacinto de’ Sivo, se traiamo input dai romanzi di Carlo Alianello e dalla frase coraggiosa e anticonformista di Antonio Gramsci, ultimo paladino a combattere contro una storia scritta dai vincitori.
Gli storici dopo di lui si sono arenati su una storia di chi ha raccontato fandonie; reclamiamo il diritto di raccontare le cose anche dal nostro punto di vista, serve il coraggio di lasciar riportare la storia scritta dai vinti non sempre dai vincitori.

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