Per tutto il resto c’è sòla card
Lorenza Provenzano – Umiliante già in partenza, questa social card. Come una paghetta settimanale (anzi, peggio: mensile) accordata dopo una vita di lavoro e una pensione da sussistenza da uno Stato che assume atteggiamenti paternalistici nei gesti di facciata salvo poi rivelarsi inconsistente e inattendibile. Una sorta di genitoriale «tieni, comprati quello che vuoi con questi quaranta euro» che ora sfiora il grottesco.
Perché la promessa «paga Pantalone» s'è già rivelata un bluff. Pantalone ha già le tasche semivuote. Non sono infrequenti infatti le magre figure alla cassa, col fiducioso possessore di social card scornato perché la tessera non è stata caricata e costretto di tutta fretta a rovistare nel portafoglio cercando contanti, un bancomat o un'altra carta di credito. O, nei casi peggiori, nelle condizioni di dover lasciare alla cassiera la propria spesa, come riferisce un'inchiesta di Repubblica.
Insomma, la spesa te la paghi tu: solo l'umiliazione è gratuita. E sì che lo stesso Berlusconi s'era premurato di sottolineare che la tessera azzurrina (il colore del partito-squadra) era anonima «per non creare imbarazzo». Delicatezza e attenzione alle fasce meno abbienti: una delle tante promesse elargite a trentadue denti il 19 giugno scorso, con la grancassa governativa mobilitata per annunciare al popolino la lieta novella. Ovverossia, 40 euro al mese, 80 euro accreditati ogni due mesi per un anno intero. In anticipo, perfino, sul crollo a effetto domino di tutte le borse internazionali, travolte dalla crisi dei mutui statunitense e in asfissia per l'incombente recessione. E poiché ormai tutti i parametri sono saltati e nell'impoverimento generale chi ha sul conto in banca 15mila euro non è da considerarsi una persona bisognosa anche se la pensione o lo stipendio che percepisce non gli consentono di arrivare a fine mese, bisognava essere al limite dell'indigenza per poter avere l'agognata tessera. Ordinatamente, in fila per ore, i 520mila in possesso dei necessari requisiti – reddito dai 6 mila euro agli 8 mila, coppie di anziani, famiglie con figli a carico non oltre i tre anni, una sola casa di proprietà, un'automobile e un'utenza elettrica attiva – hanno completato le pratiche entro fine anno, come da scadenza ufficiale. Per ritrovarsi – molti di loro – con un pugno di mosche in mano. Perché al 30 dicembre l'Inps dichiarava di aver ricaricato solo 330 mila tessere. Le altre, vuote. Così almeno duecentomila di queste belle (e costose) tesserine (valgono 50 centesimi l'una, più un euro per la ricarica bimestrale, più il 2 per cento per le spese del circuito bancario: totale 8 milioni e 500mila di euro di spese per lo Stato, a pieno regime) sono una beffa. Perfettamente inutili. Servono per lo più per procurarsi esperienze avvilenti, come se già l'estrema povertà non bastasse, visto che solo al momento di pagare c'è modo di scoprire se sono o meno scoperte.
E pensare che c'è stato chi a momenti moriva di crepacuore per la rabbia di non riuscire a dimostrare, agli sportelli, di averne diritto. O chi è arrivato ad uccidere, preso dalla follia di quest'assurda e vana corsa alla tessera. Ma perché prendersela così tanto? Con calma, tutto si sistema. Lo sanno bene gli istituti religiosi che hanno fatto incetta di tesserine azzurro cielo. Fede nella Provvidenza, ci vuole.