Il “prima” del Duce
Prima parte – Benito Mussolini era nato e cresciuto in Romagna, da genitori romagnoli. Il padre, Alessandro, fabbro artigiano a Dovia, frazione del comune di Predappio in provincia di Forlì, era figlio, a sua volta, di un piccolo proprietario terriero, che aveva dissipato il patrimonio familiare. Anche lui era un “irregolare”, che frequentava l’osteria e correva dietro alle donne più volentieri che non rimanere a lavorare nella sua modesta officina. Chi mandava avanti la casa era la moglie, Rosa Maltoni, di famiglia piccolo-borghese, maestra elementare, devota al suo lavoro ed alla sua famiglia. Il marito aveva idee socialisto-rivoluzionarie e ripeteva sempre l’insulso motto: “Dio è un espediente borghese”. Fu anche arrestato, una volta, “per aver capeggiato una turba di facinorosi”.
Benito nacque a Varano dei Costa, un casolare di Dovia, il 29 luglio 1883. Fu un ragazzo vivace e attaccabrighe, amante del fare a sassate. Frequentò le elementari e quindi le tecniche, buscandosi ripetute “sospensioni”; si formò poi nella scuola normale di Forlimpopoli, fino a conseguire il “Diploma d’Onore di maestro, con Encomio Solenne”, nel luglio del 1901. Fece qualche supplenza e, un anno dopo il diploma, partì per la Svizzera. Vi rimase per più di due anni, con un paio di brevi ritorni in Italia. Non si presentò alla chiamata di leva e fu condannato in contumacia, come disertore, ad un anno di reclusione. In Svizzera girò per vari cantoni: Ginevra, Losanna, Berna, Zurigo. Delle sue condizioni, in quel tempo, ebbe a dire in seguito: “vita campata miseramente, facendo mestieri umili e vari, dal garzone di vinaio e di salumiere al muratore e manovale, sprovvisto talvolta di vitto”. Sembra, infatti, che abbia trasformato, in condizioni abituali, episodi temporanei o addirittura momentanei, come la notte passata sotto un ponte di Losanna, seguita da un arresto, di tre giorni, per vagabondaggio. In realtà, incominciò in Svizzera, con un certo successo, la sua carriera di agitatore politico. Iscritto già al Partito Socialista, fu segretario e propagandista di associazioni operaie, traduttore, collaboratore di giornali proletari, frequentatore di biblioteche e di corsi universitari. Divenne, ad un certo punto, dirigente della Sezione Socialista Italiana a Ginevra, col risultato finale del suo allontanamento dal Cantone, nell’aprile del 1904. Precedentemente era stato espulso da Berna ed ancor prima da Zurigo, dove aveva partecipato, come relatore, al Congresso dei Socialisti Italiani, nel marzo del 1904. In quella circostanza, nel contesto di una discussione sulla “figura di Gesù Cristo come precursore del socialismo”, sostenuta animatamente da un pastore protestante, tale Taglialatela, lì intervenuto come autorità cittadina, ebbe, con lo stesso, un accesissimo contraddittorio, affermando a gran voce e con l’orologio sul palmo della mano: “Do tempo a Cristo cinque minuti per fulminarmi. Se non lo fa, vuol dire che non esiste”. Di questa grossolanità fondamentale, che gli costò l’allontanamento da Zurigo, Mussolini non si liberò mai completamente.
Tornato in Italia, nel novembre del 1904, usufruì dell’amnistia per la nascita del Principe Umberto e potè, nel gennaio seguente, compiere regolarmente il servizio militare come bersagliere, a Verona. Si comportò bene, con fiero orgoglio per quella nobile e valorosa specialità del Regio Esercito, ottenendo gratificazioni e riconoscimenti da parte dei suoi superiori. Congedato, nel settembre del 1906, dopo una sosta a Predappio, partì per fare il maestro elementare nel Friuli, a Tolmezzo, passandovi “un anno di abbrutimento” (parole sue). Tornò a casa alla fine dell’agosto 1907. Ottenne, a Bologna, nel novembre di quell’anno, un diploma di francese e andò ad insegnarlo, nel marzo 1908, in una scuola privata di Oneglia. Scrisse numerosi articoli (evidenziando in alcuni una certa antireligiosità) nel settimanale socialista locale “La Lima”. Conobbe personalmente Georges Eugene Sorel, filosofo, sociologo e ingegnere francese, teorico del sindacalismo rivoluzionario. Con lui, si entusiasmò per Nietzsche e per il suo “superuomo”.
In un breve ritorno a Predappio, nell’estate del 1908, per certe manifestazioni a sostegno dei braccianti, in lotta con i mezzadri, passò quindici giorni in carcere. Costantemente irrequieto e insoddisfatto, agli inizi del 1909, Mussolini assunse, a Trento, gli incarichi di segretario della Camera del Lavoro, di direttore del settimanale “L’Avvenire del Lavoratore” e di redattore capo del quotidiano “Popolo”, il famoso giornale di Cesare Battisti. Ma non vi rimase per più di un mese. Forse non si trovò a suo agio, in quel contesto di lotta nazionale, pur condividendo il carattere autonomistico piuttosto che irredentistico della lotta medesima e approvando l’opera del socialismo trentino a favore dell’italianità. Era fondamentalmente ostile ad un impegno nazionale prevalente su quello di classe. “Il proletariato – sono sue parole – è antipatriottico per definizione e per necessità”. Ma, più ancora che di principi, il suo dissenso era di metodo e di stile. Anche a Trento, Mussolini ebbe una serie di violenti dissapori con il clero e con il partito cattolico, cioè cristiano-sociale. Trovò un acerrimo avversario nel giovane coetaneo Alcide De Gasperi (1881), direttore del giornale “Il Trentino”. E dopo una serie di “infortuni giudiziari”, fu arrestato per fatti e sospetti vari ed espulso nel settembre del 1909. Questa volta si stabilì, decisamente, nell’ambiente romagnolo, a Forlì, in piena lotta tra braccianti e mezzadri, rossi e gialli, socialisti e repubblicani. Fu un triennio di azione locale, che lo preparò definitivamente a quella nazionale.
Il I° gennaio 1910 uscì “La lotta di classe”, organo della Federazione Socialista Forlivese, fondato e diretto da Benito Mussolini. Vi proclamò un socialismo esplicitamente “blanquista” (da Auguste Blanqui, 1805-1881, esponente di spicco del socialismo utopistico), che doveva basare sul ferro la sua volontà di ascesa, da realizzarsi attraverso “l’insurrezione violenta, capitanata da una piccola minoranza”. Il socialismo per lui era “il più grande atto di negazione e di distruzione che la storia registri”. Confondendosi quasi con gli anarchici, Mussolini esaltava Bresci e Angiolillo. Nelle divisioni interne del Partito, egli stette con gli intransigenti contro i riformisti; ma, in realtà, scavalcò anche i primi e si accostò, piuttosto, ai sindacalisti patrocinando, come il suo maestro Sorel, lo sciopero generale rivoluzionario e accettando l’antimilitarismo. Fu anche contro la massoneria, di cui largamente permeati erano allora i quadri socialisti. Ne fece, infatti, dichiarare l’incompatibilità con la Federazione Socialista Forlivese. Il suo stile secco, e insieme imperioso, esprimeva una determinata volontà di comando.