La patata, un alimento per la pace
Gli esploratori che tornavano dal Nuovo Mondo, la portarono con sé, facendola così conoscere anche al del Vecchio Continente. Originaria del Cile e del Perù, la patata giunse in Europa a metà del 1500, anche se le prime coltivazioni, su ampia scala, nacquero solo nel Settecento, grazie alla volontà del re di Francia, Luigi XVI.
Nelle Americhe la patata era una parte molto importante dell’alimentazione base, tanto che gli Incas ne conoscevano circa sessanta varietà differenti. Quest’abbondanza permetteva loro di coltivare il tubero in luoghi e climi differenti: dalle zone aride della costa, fino ad altitudini di 4.000 metri.
Il suo arrivo nel Continente Europeo, garantì subito il sostentamento e il benessere della popolazione, contribuendo anche a creare la pace, riducendo le tensioni, fra le genti. Incrementò la produttività, migliorò l’alimentazione e innalzò i salari, portando benefici a catena per tutte le classi sociali, dai contadini alle gerarchie dominanti. Per almeno un paio di secoli, la rivoluzione agricola che ne derivò aiutò ad allentare le pressioni sociali, che in altre circostanze avrebbero forse condotto a conflitti tra Stati.
Sono stati fatti interessanti studi, su questo argomento, da alcuni economisti di tre università americane: quella di Harvard, del Colorado e della Northwestern’s Kellogg School of Management. I ricercatori hanno analizzato i dati relativi a 2.477 battaglie, combattute in 899 guerre, nell’arco di 500 anni, soprattutto lungo i confini di Austria, Francia, Russia e Turchia, ma anche in Medio Oriente e in Nord Africa. Le patate aiutarono le famiglie a produrre grandi quantità di raccolto, anche in piccoli appezzamenti di terra, facendo così crollare il valore dei terreni: questo condusse ad una sensibile riduzione dei conflitti dovuti ai possedimenti terrieri. Le conclusioni si possono applicare, almeno in parte, anche agli Stati moderni, oggi come sempre, dipendenti dall’agricoltura: migliorando la produttività, si potrebbe ottenere un effetto di maggiore stabilità politica e sociale.
La “Grande Carestia”, che colpì l’Irlanda (in gaelico An Gorta Mór), tra gli anni 1845-1850, uccise circa un milione di persone e ne costrinse all’emigrazione altrettante, causando un crollo tra il 20 e il 25% della popolazione. Eric Hobsbawm la definì “la più terribile catastrofe umana della storia europea”. La carestia scoppiò a seguito dell’attacco di un microrganismo, conosciuto come “peronospora”, che distrusse, quasi interamente il raccolto delle patate, l’alimento principale della dieta irlandese. Ma il diffondersi del fungo fu solo la causa scatenante di quella tragedia; altre e ben più ataviche situazioni erano alla base del fragile sistema economico di quel Paese. Alcuni scritti dell’italiano Carlo Cattaneo e di John Stuart Mill, pubblicati in quel periodo, ci offrono il punto di vista, sul tema, di due grandi intellettuali del tempo, in presa diretta. Si è letto del fallimento delle politiche liberiste irlandesi. I saggi e gli articoli di Cattaneo e Mill ci aiutano, invece, a comprendere le cause vere e profonde di An Gorta Mór, senza farci forviare da facili, ma devianti interpretazioni. La colpa della Grande carestia non fu affatto del laissez-faire, ma della situazione istituzionale, che non conosceva una proprietà diffusa e tutelata dall’ordinamento. Proprio An Gorta Mór è una delle prove storiche dell’ineludibile nesso che lega il riconoscimento dei diritti di proprietà alla crescita economica.La gente d’Irlanda era, nella sua quasi totalità, impiegata nell’agricoltura (con percentuali simili alla Russia zarista; in quegli stessi anni, in Inghilterra, solo un terzo della popolazione lavorava professionalmente la terra). Gli irlandesi facevano affidamento su un sistema noto come “cottier-tenant system”, che consisteva nell’affitto di piccolissimi appezzamenti di terra agli agricoltori, per il tramite di una sorta di “asta”. La sovrappopolazione di quegli anni spingeva in alto i prezzi degli affitti (troppa domanda per un’offerta relativamente scarsa) e il terreno veniva quindi affittato al contadino disposto a pagare di più. E poiché l’agricoltura era l’unico sbocco lavorativo possibile, gli affittuari erano pronti a indebitarsi oltremisura, pur di assicurarsi un pezzo di terra da lavorare. Con la conseguenza che, una volta pagati i debiti, essi estraevano dal campo solo ciò che era a stento necessario per la propria sussistenza. Ciò spiega l’intensiva coltivazione di patate: un ettaro di terreno poteva sfamare, per un anno, tre persone adulte, se coltivato a frumento, ma ben venti se coltivato a patate. Il sistema che non riconosceva adeguati diritti di proprietà ai contadini, quindi, li privava di qualsiasi incentivo a migliorare le tecniche di coltivazione e ad apportare qualsiasi miglioramento al fondo, visto che non avrebbero avuto la sicurezza di goderne anche in futuro. L’assenza di diritti di proprietà diffusi, aveva finito per negare i necessari stimoli imprenditoriali, facendoli ripiegare sull’uso di tecniche agricole vecchie e inefficaci, di sovra-sfruttamento della terra e suo conseguente impoverimento, come nota Cattaneo nel suo saggio “Sullo stato dell’Irlanda nel 1844”. Fu quindi un sistema di istituzioni “estrattive” e “non inclusive” (aggiungiamoci pure gli effetti delle politiche protezionistiche delle Corn Laws) a causare An Gorta Mór. In un articolo del 13 ottobre 1846, Mill suggerisce che la soluzione consiste proprio nel miglioramento delle condizioni istituzionali. “Si renda l’Irlanda tranquilla, si rendano la vita e le proprietà sicure”, scrive, “e lo spirito d’impresa per cui il mondo non è abbastanza ampio non trascurerà più quel terzo, e il terzo più fertile, del Regno Unito”. Ma questo il Governo del Regno Unito non sembrò capirlo: pensò piuttosto che la soluzione potesse risiedere in leggi di tipo assistenzialistico, provocando così il triste sarcasmo di Mill: “Questo è il risultato a cui ci hanno condotti il progresso della ragione e dell’esperienza… Quello che ha impoverito la quasi totalità della popolazione agricola dell’Inghilterra è l’espediente raccomandato per portare al benessere e all’indipendenza i contadini di Irlanda!”.
Cattaneo e Mill sono d’accordo: solo la diffusione dei diritti di proprietà avrebbe risollevato la disastrate condizioni economiche irlandesi. A quei mali dell’Irlanda si sarebbe potuto porre rimedio solo con la creazione di numerose proprietà contadine. La proprietà del suolo aveva, secondo loro, una sorta di potere magico, capace di generare operosità, determinazione e previdenza in una popolazione agricola. Era il fatto di non pagare un affitto che rendeva operoso il contadino proprietario, poiché la terra era la sua.
È Cattaneo (“Dei disastri dell’Irlanda negli anni 1846 e 1847”) a mostrarci i benefici della diffusione della proprietà tra i contadini, diversi anni dopo. Superato il cottier-tenant system, la proprietà si era diffusa maggiormente e godeva adesso di opportuno riconoscimento sociale e giuridico: ciò li aveva spinti a investire, a bonificare ampie zone paludose dell’Irlanda, a costruire per sé e per le proprie famiglie case più sicure e confortevoli. “Il capitale espropriò in Irlanda il privilegio e il feudo e rinnovò di pianta tutto l’ordine sociale”, scrive ancora il federalista italiano e conclude, “ma tutto ciò si poteva conseguire con meno tardi e men luttuosi provvedimenti. Non era necessario l’esterminio di due millioni di poveri e la ruina di molte splendide famiglie”.
Per anni non vi sono stati dubbi su quale tipo di malattia delle piante abbia causato la grande carestia irlandese di patate del 1840, che uccise più di un milione di persone e ne costrinse altri due a emigrare negli Stati Uniti e in altre nazioni. Un nuovo studio, eseguito dagli scienziati della North Carolina State University e pubblicato sulla rivista “Nature”, sembra invece rimettere in discussione molte convinzioni. L’analisi del DNA di alcune foglie vecchie di 150 anni, conservate dal momento della carestia, non ha permesso di trovare alcuna traccia dell’aplotipo 1b della Phytophthora infestans, l’agente patogeno ritenuto finora responsabile della malattia. Invece, l’analisi ha puntato il dito su altri tre aplotipi, su cui nessuno aveva ancora indagato. Addirittura, si ritiene che il vero responsabile possa essere stato un aplotipo sconosciuto, estinto poco dopo l’epidemia. Si tratta in questo caso della prima analisi di campioni storici, poiché quelle precedenti riguardavano campioni di piante raccolti durante epidemie recenti. Lo studio potrebbe avere un’importanza anche per l’agronomia attuale: la Phytophthora infestans è ancora oggi una delle più serie malattie delle patate.
Al momento, questo patogeno sta creando seri problemi in Russia, mentre si verificano, ogni anno, piccole epidemie in Messico, in Irlanda, in Equador e negli Stati Uniti. Capire l’origine delle epidemie può servire a mettere a punto migliori strategie di controllo e a selezionare le piante che hanno avuto più tempo per sviluppare una resistenza naturale alla malattia.