Dolore e lacrime per i paracadutisti periti a Kabul

Dopo la S. Messa celebrata a Roma nella Basilica di San Paolo fuori le mura, in onore dei sei paracadutisti della “Folgore”morti a Kabul nel vile attentato, abbiamo sostato in composto raccoglimento in piazza Umberto I di Bellona, presso il marmo che ricorda i 51 soldati bellonesi deceduti nel Primo Conflitto Mondiale (1915/18),uno nella guerra di Spagna(1936) e 30 nel Secondo Conflitto Mondiale (1940/45):giovani figli sepolti in cimiteri di guerra stranieri, lontano dai genitori che vissero il resto dei loro anni nel più profondo dolore. Soltanto i resti di tre soldati ritornarono dalla Russia. Il primo ad essere rimpatriato fu Silvio Di Rubbo i cui resti, dal freddo della steppa russa, ritornarono al paese nativo accolti dai parenti affranti e da una folla di cittadini in lacrime. Silvio lasciò i suoi cari il 14/3/1942 e, con altri 14 concittadini, dopo una sosta ad Udine, raggiunse il fronte russo. Con Silvio partì anche suo cugino Alessio Aurilio e sua madre, Genoveffa, attese invano il ritorno fino al giorno in cui, all’età di 95 anni, lasciò questa vita. Durante la cruenta battaglia sul fiume Don (27/1/1943), il gruppo di bellonesi perse ogni contatto e molti di essi perirono in battaglia. Unico sopravvissuto il prof. Eugenio Salerno che, dopo numerose peripezie, ritornò a Bellona accolto dai parenti e dagli amici increduli. Prima che i resti di Silvio Di Rubbo fossero tumulati nella cappella di famiglia, un suo amico d’infanzia, Luigi Ragozzino, si avvicinò e,con il volto rigato da copiose lacrime, abbracciò l’urna invocando il nome del caro Silvio. Un gesto che commosse i presenti come quello del figlio del tenente Antonio Fortunato, il piccolo Martin di 7 anni che nella Basilica di S. Paolo, prima della S.Messa, lascia sua mamma per avvicinarsi alla bara, accarezza la foto del papà, sfiora il tricolore, volge uno sguardo al basco amaranto lasciato sul feretro e, in lacrime, ritorna di corsa tra le braccia della mamma. A questo gesto filiale, vanno aggiunti: quello del padre di Gian Domenico Pistomani che indossa la giacca militare di suo figlio come a far notare l’amore per la “Divisione Folgore, l’ingenuo sorriso del piccolo Simone Valente, con in testa il basco amaranto di papà Roberto o la fidanzata di Gian Domenico Pistomani che, seduta a terra, resta abbracciata alla bara rivolgendo parole affettuose alla foto del suo “ragazzo”. Ed infine le lacrime dei genitori e delle mogli che vedevano stroncati i loro sogni, le speranze e i propositi per un avvenire che non sarà più roseo.

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