Pasquale Iovino e La divina commedia

“Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”, raccomandava Virgilio a Dante, innanzi alla moltitudine delle “anime triste di coloro che visser sanza 'nfamia e sanza lodo” mischiate a quel cattivo coro degli angeli che “non furon ribelli né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.”
Molti studiosi, non curandosi dell’ammonimento e malgrado il poeta non abbia fornito alcun indizio, si sono affannati nel cercare di scoprire chi si poteva nascondere dietro “l'ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto”.
La fantasia degli studiosi, perché di ciò si tratta, alla fine si è fossilizzata su due soli personaggi, entrambi importanti, ma entrambi altamente improbabili: Celestino V e Ponzio Pilato.
Certamente, però,  non può essere il santo eremita Pietro da Morrone, che, eletto Papa, aveva preso il nome di celestino V., rinunciando poi alla carica, perché, ai tempi in cui Dante scriveva, la chiesa lo aveva già collocato in  paradiso, proclamando santo, ed è, quindi, da escludere  che il poeta, pensasse di ribellarsi al primato teologico del sommo pontefice, mettendolo all’inferno.
Il fatto che fosse aspramente critico verso il potere temporale, non è ragione sufficiente per ritenere che il sommo poeta si volesse mettere fuori dal cattolicesimo, contestando, seppur in modo enigmatico, una decisione papale in materia di fede, avendone sempre ribadito il primato (è sua le teoria dei due Sole – il Papa e l’Imperatore – l’uno capo indiscusso in materia di fede, l’altro nell’esercizio del potere temporale) .
L’ombra neppure può essere il governatore della Galilea giacché il sommo poeta,  esperto quale era in  fatto di sacre scritture e padrone della lingua, non avrebbe certamente usato l’espressione “rifiuto”, perché la presunta viltà di Ponzio Pilato si era di fatto concretizzata nel  non aver trovato il coraggio di rifiutare l’esecuzione della decisione del Sinedrio, pur non condividendola.
Aggiungiamo che nella Divina Commedia Dante loda la cultura giuridica dell’antica Romana, che aveva assicurato a Gesù un processo ineccepibile dal punto di vista legale (legalità e Giustizia non sempre, però, coincidono), sicché un biasimo così incisivo all’operato del governatore sarebbe stata una contraddizione strana, in un’opera così perfetta, sia nella logica che nella struttura.
Io credo che Dante nei versi citati parli di “ombra”,  diversamente da tutti gli altri personaggi della sua grande commedia, che se pure immateriali, hanno sembianze ben definite e sentimenti forti, per rappresentare  una tragica maschera umana, presente in tutti i tempi, in tutti luoghi ed in tutte le culture, che potrebbe ritrarre e forse ritrae ciascuno di noi in alcuni momenti della vita, quando ci manca il coraggio di prendere posizione e rinunciamo alle nostre convinzioni per qualche misero tornaconto.
Forse Dante pensava, come me, a qualche politico o intellettuale del suo tempo, le cui parole, per biechi interessi personali “per sé fuoro”,  si discostano dall’evidente verità e dal loro stesso sentire.
È la maschera dell “ommo è’ niente” e proprio per questo ci fa paura e la esorcizziamo attribuendo all’ombra le sembianze di Celestino V o di Ponzio Pilato,  personaggi così particolari e lontani da renderci impossibile un’identificazione con loro.

Condividi questo articolo qui:
Stampa questo post Stampa questo post