Il canonico Giovanni Penna, Carbonaro della diocesi di Calvi
La provincia di Terra di Lavoro fu interessata da vivaci fermenti carbonari, come buona parte della penisola, e, pertanto, anche la gloriosa e storica diocesi di Calvi non fu esente da tale fenomeno. Questa il 27 giugno 1818 fu unita “aeque principaliter”, con bolla “De Utiliori” di Papa Pio VII, alla limitrofa diocesi di Teano, assumendo rispettivamente il nome di diocesi di Calvi e diocesi di Teano. Il 30 settembre 1986, con decreto “Instantibus votis” della Congregazione dei Vescovi, fu stabilito la fusione della diocesi di Calvi (comune di Calvi Risorta, Camigliano, Francolise – una parte, Giano Vetusto – una parte, Pastorano – una parte, Pignataro Maggiore, Rocchetta e Croce, Sparanise) e quella di Teano (comune di Teano, Caianello, Conca della Campania, Galluccio, Marzano Appio, Mignano Monte Lungo, Pietramelara, Pietravairano, Presenzano, Riardo, Roccamonfina, Roccaromana, Tora e Piccilli, Vairano Patenora) in un’unica diocesi che prese il nome di diocesi di Teano-Calvi, vescovo S.E. Felice Cece.
I patrioti di Terra di Lavoro, dopo la sconfitta della Repubblica Napoletana, 13 giugno 1799, si riorganizzarono tramite la Carboneria e ad essa aderirono professionisti, ecclesiastici, studenti, artigiani e militari. Nutrita è la schiera di storici-ricercatori che hanno focalizzato i loro studi e i loro scritti sul “fenomeno carbonaro” di Terra di Lavoro e tra questi si citano Luigi Russo, Carmine Cimmino, Rosolino Chillemi, Angelo De Santis, Antonio Martone, Aldo Di Biasio, Enzo De Rosa, Angelo Martino, Felice Provvisto, Vincenzo Castaldo, Angelo Florio, Alfonso Caprio, Michele Manfredi e Carlo Marcantonio Ribaldi. In relazione al numero degli ecclesiastici, secondo Rosolino Chillemi, nella sola diocesi di Capua, il numero degli ecclesiastici aderenti alla Carboneria contava ben 220 persone. Quindi, prima dei moti insurrezionali del 1820-1821, la Carboneria in Terra di Lavoro era ben attiva e come scrive Angelo De Santis “quasi nessun paese fu esente dal contagio carbonaro”. La Carboneria derivava il suo nome dal fatto che i settari dell’organizzazione avevano tratto il loro simbolismo e i rituali dal mestiere dei Carbonari, soggetti che preparavano il carbone e lo vendevano al minuto. L’organizzazione era di tipo gerarchico e molto rigida. I nuclei locali, detti “baracche”, erano inseriti in agglomerati più grandi dette “vendite”. La nostra attenzione, in ossequio al nostro vissuto di ieri e di oggi, è interessata e stimolata dalla realtà territoriale della diocesi di Calvi. Un documento della biblioteca del Museo Provinciale Campano di Capua ci fornisce le “vendite”, n. 74, nelle varie aree della provincia di Terra di Lavoro che superano abbondantemente le cento unità. In tale periodo la provincia di Terra di Lavoro (1860 – 1927), già provincia del Regno di Napoli e del Regno delle Due Sicilie, capoluogo la città di Caserta, era raggruppata in cinque circondari (Caserta, Nola, Gaeta, Sora e Piedimonte d’Alife), suddivisa in 41 mandamenti e 192 comuni; fu soppressa e suddivisa fra diverse province col Regio Decreto Legislativo n. 1 del 2 gennaio 1927; nel 1945, col Decreto Luogotenenziale n. 373 dell’11 giugno 1945 del Governo Bonomi, fu istituita la provincia di Caserta, comprendente la parte della provincia di Terra di Lavoro passata alla provincia di Napoli ad eccezione del Nolano e Acerra, oltre ad alcuni comuni della Valle del Volturno precedentemente appartenuti alle province di Benevento e Campobasso. Ciascuna “vendita” era generalmente formata da non meno di dieci-quindici Carbonari, a volte anche venti-trenta, e sette erano operanti nei comuni della diocesi di Calvi: due erano dislocate a Giano Vetusto (I veri figli della Costanza e I veri figli di un padre) ed una nei seguenti comuni: Pignataro (La virtù trionfante), Pastorano (Gli abitatori di Montemarano), Camigliano (I difensori della Patria), Sparanise (La Torrefiorita) e Calvi (I figli di Temistocle).
Gli storici e gli studiosi sono concordi nel ritenere che l’unico ecclesiastico “Carbonaro” della diocesi di Calvi fu il canonico Giovanni Penna. Questi nacque a Pignataro Maggiore il 20 ottobre 1754; il padre fu Sindaco del paese nel 1766; fu alunno del seminario di Calvi; conquistò la stima del vescovo Giuseppe Maria Capece Zurlo che lo scelse come suo segretario e, quando questi venne elevato alla dignità cardinalizia, lo volle con sé a Napoli. La morte del fratello Carlo, settembre 1802, lo richiamò a Pignataro e nel 1806 fu nominato canonico della cattedrale di Calvi, a seguito della promozione a teologo della cattedrale di don Pietro Izzo che lasciò vacante la predetta carica. Aprì in paese una scuola ma gli fu imposto la chiusura per avversione del regime borbonico alla cultura. Angelo Martino scrisse, a tal proposito, nel 2014, che lo stesso canonico di tale provvedimento ne parla con tanta disillusione nella sua opera, iniziata nel 1827 e stampata nel 1833 a Caserta, “STATO ANTICO E MODERNO DEL CIRCONDARIO DI PIGNATARO E SUO MIGLIORAMENTO”, opera “che non riguardava solo Pignataro, ma anche tutto il circondario, che, nella divisone amministrativa borbonica, comprendeva Partignano, Giano Vetusto, Pastorano, San Secondino, Pantuliano, Camigliano, Vitulazio, Bellona, Calvi, Rocchetta e Croce, Sparanise”. Va evidenziato che tutte le copie del testo furono sequestrate perché contenevano critiche anche al sistema educativo del seminario di Calvi. Solo nel 1988 l’Editrice Atesa di Bologna riuscì a trovare una copia per farne una riedizione anastatica.
L’arciprete don Salvatore Palumbo (1915-1974), musicista-poeta-storico, nel 1972 scrisse “Il canonico Penna è un uomo che guarda in anticipo la questione sociale con l’occhio del sacerdote sensibile alla miseria umana, ma che non chiude nel suo animo la disapprovazione verso l’ordine costituito che gli sta innanzi, bensì alza la voce in favore degli oppressi quando nessuno voce si levava. E’ questo il lato più umano del canonico Penna che lo avvicina ai nostri tempi, ce lo rende più simpatico. E’ bene che i pignataresi di oggi sentino e meditano sulla parola scritta, 140 anni or sono, da questo sacerdote”. Per comprendere e inquadrare ulteriormente l’opera e la figura del canonico Giovanni Penna un contributo lo fornisce il compianto Antonio Martone (1941- 2016) che nel 2007 scrisse che don Salvatore Palumbo a conclusione di una conferenza tenuta nel palazzo vescovile di Pignataro Maggiore nel novembre del 1966, dal titolo “Aspetti culturali e politici nel primo storico di Pignataro Maggiore, il canonico Giovanni Penna”, affermò che il vescovo De Lucia, in un rapporto sui sacerdoti della diocesi, accanto al nome del canonico Giovanni Penna aveva annotato: “Antico iscritto alla Carboneria … irrequieto”.
Per Martone il canonico Penna fu uno studioso moderno, i suoi interessi furono molteplici: guardava alla produttività del suolo, alle coltivazioni tipiche o prevalenti, alle risorse idriche, alle condizioni economiche e igieniche, all’istruzione e alle credenze, alle bellezze naturali e turistiche e ciò trova conferma nella già citata conferenza tenuta da don Salvatore Palumbo nella quale questi affermò “su tutto il territorio ha guardato con l’occhio dell’economista e del sociologo e non soltanto dello studioso che decifra delle pietre o scova dei manoscritti in un archivio”. Il Palumbo evidenziò anche “le profonde simpatie del canonico Giovanni Penna per Francesco Mario Pagano, martire della Repubblica Napoletana del 1799”. Tale fondata intuizione è confermata da un documento rinvenuto da Antonio Martone nell’archivio diocesano di Calvi. In particolare il predetto documento si riferisce all’arresto del canonico Penna “ … un reale dispaccio viene inviato al Vescovo di Calvi Mons. Andrea De Lucia in cui si comunica che il prete don Giovanni Penna è stato carcerato per materia di Stato (detenuto con Francesco Mario Pagano in Castelnovo con il quale ebbe modo di discutere sull’antica Calvi, dettandogli due Dissertazioni poi pubblicate dal barone Antonio Ricca. Il Pagano fu impiccato a Napoli, Piazza Mercato, il 29 ottobre 1799, ndr), si chiede al Vescovo di chiuderlo in un monastero della sua diocesi, vigilare sulla sua condotta e darne conto ogni mese al Commissario della Suprema Giunta Inquisitoria di Stato. Il dispaccio reale del 2 giugno viene fatto pervenire alla Segreteria dell’Ecclesiastico il 5 e il 7 la Curia Arcivescovile di Napoli lo trasmette al Vescovo di Calvi. Il documento conferma le idee giacobine del nostro Canonico”.
Il canonico Giovanni Penna si spense a Pignataro Maggiore, alle ore 12 del 29 maggio 1837, all’età di 82 anni, nella sua casa in via Giundoli.