La frittata di asparagi dei filosofi del Sud
Uno dei riti a me più cari del periodo pasquale è un rito laico che nulla ha a che fare con la religione, almeno non nel senso stretto della parola. Diversamente dal distanziamento sociale di oggi, gli altri anni di questi tempi dalle mie parti, tornava a formarsi una comunità speciale, quella dei raccoglitori di asparagi selvatici, fatta di sconosciuti che temporaneamente invece si riconoscevano.
In altro contesto quelle stesse persone probabilmente non si sarebbero neanche salutate. In giro sulle colline dell’agro caleno invece si sorridevano; come fossero in gara studiavano il raccolto dell’altro; scambiavano qualche frase rigorosamente pertinente alla raccolta: “da dove sei passato?”, “ce ne sono?”, “deve essere passato qualcun altro proprio davanti a me (se ne ho raccolti così pochi)”, “sono arrivato da poco (ma guarda un po’ quanti ne ho già trovati)”…
È un rito al quale ho sempre adempiuto, quasi un riappropriarsi di luoghi che a distanza di un anno ritrovavi cambiati minimamente e confermati immutati nella gran parte, compresi i due albicocchi che già promettevano, e le poche fragole attorno alla rovina. Praticamente una rassicurante visita ai parenti.
Le prime volte era con tutta la famiglia, quasi una scampagnata, le ultime erano il pretesto per portarci mio padre, filosofo in materia, come lo sono un po’ tutti quelli che amano questa erba spontanea, compresi quelli della Magna Grecia e i due filosofi francesi Fontanelle e Malesherbes che ne andavano pazzi.
In gioventù, avendo vissuto un po’ anche a settentrione dove gli asparagi erano solo quelli delle serre, mi ero fatto persuaso che “il culto” di quelli selvatici fosse una peculiarità della mia regione, solo successivamente ho saputo che invece la familiarità con essi riguarda tutto il Sud, isole comprese. Tante a Mezzogiorno sono le sagre che li celebrano, dalla Sicilia alla Puglia e fino all’Abruzzo dove, a Teramo, una bella combriccola di appassionati (che filosofi devono esserlo per davvero) ha fondato una brillante “Accademia degli Asparagi Selvatici” anche attenta ai temi dell’educazione ambientale.
Rispetto alle varietà di quelli coltivati, quelli selvatici hanno un gusto decisamente più forte, amarognolo, rustico, antico, capace di essere al contempo raffinato. Nell’agro caleno in genere si usa scegliere dal raccolto i più grossi per farne dei sottolio con origano, aglio e peperoncino; quelli più sottili invece vengono fritti in olio d’oliva con uno spicchio d’aglio e un cucchiaio di pomodoro; gli asparagi dalla grossezza intermedia sono invece usati per farne vellutate, sughi per la pasta e per i risotti. Ma la ricetta più popolare, una spanna sopra le altre, è senza dubbio la frittata con gli asparagi, quasi la stessa dappertutto, anche se in Calabria ci mettono la cipolla di Tropea e in Sardegna il pecorino. Un’estrema delizia difficilmente riportata nei menù dei ristoranti, che però si fa Regina nelle occasioni di massima convivialità, un piatto che riesce a rappresentare alla perfezione il carattere “filosofico” di tutto il Sud.