Il Sarcofago degli Sposi
Il castellano Felice Barnabei, Deputato del Regno d’Italia, diede vita a Roma, nel 1889, al Museo Nazionale Etrusco che espone le sue opere artistiche nella bellissima sede rinascimentale di Villa Giulia, palazzo che fu residenza papale di Sua Santità Giulio III della nobile famiglia savinese dei Ciocchi del Monte. Nel Museo sono visibili capolavori come l’Apollo di Veio, scolpito probabilmente da Vulca nel VI secolo a.C., e le tre lamine auree di Pyrgi, splendidi esempi di arte epigrafica realizzate verosimilmente agli albori del V secolo a.C. Tra le creazioni artistiche d’altissimo rilievo dell’antica civiltà dell’Etruria, ritroviamo un monumento sepolcrale realizzato tra il 500 e il 600 a.C. conosciuto come “Il Sarcofago degli Sposi”. Scavi di ricerca effettuati dai fratelli Boccanera nella necropoli della Banditaccia dei Principi Ruspoli, in quel di Cerveteri, hanno portato alla luce nell’anno 1881 circa 400 cocci del gruppo scultoreo cimiteriale: realizzato in terracotta, mostra una coppia caeriana di rango elevato, un marito e una moglie semidistesi su un lectus triclinaris, un letto caratteristico detto anche kline, che veniva abitualmente utilizzato per eventi conviviali e banchetti dalla società altolocata ellenica, dalle importanti famiglie etrusche e dagli influenti casati romani. Arricchivano il letto dipinti fitomorfi essenziali nel tratto, e signorili elementi di sostegno con evidenti influssi ionici. Nel guanciale dovevano essere presenti anche accessori con funzioni d’ornamento che l’inclemenza del tempo ha fatto perdere, e la presenza di fori nelle due figure ci lasciano pensare che originariamente il complesso scultoreo conteneva componenti di abbellimento decorativo. La scelta dell’artista rispecchia il culto dei morti e la tradizione funebre etrusca che rappresentava cose materiali d’uso quotidiano, della vita sociale e di relazione interpersonale. Le braccia dell’uomo sembrano cingere premurosamente la donna, che è posta in primo piano nello spazio antistante. I volti affusolati evidenziano un’espressione comunicativa rassicurante e incoraggiante che va al di là del pensiero della morte. Il sorriso mostrato dalla coppia è un’antica caratteristica della primeva scultura greca denominato “sorriso arcaico”: l’espressione della bocca non è sinonimo di emozione dell’anima o della sfera affettiva, ma consuetudine artistica precedente al cosiddetto “stile severo” e al classicismo ellenico. Il taglio dei lunghi capelli e l’“onor del mento” dell’uomo sono caratterizzati da tratti essenziali e lineari, e sulle spalle la chioma intrecciata di entrambi presenta una disposizione simmetrica e ordinata. Gli occhi ricalcano la forma orientale, ed è verosimile che fossero policromi e che riproducessero il bianco della sclera e l’iride con colori più scuri. Particolare è la posizione delle mani di entrambi: è plausibile che la coppia avesse cose ordinarie usate nel quotidiano come i calici di vino, oppure oggetti ornamentali come i serti decorativi. L’arca conteneva all’interno i vasi canopici, urne funebri con i resti mortali della coppia. La donna veste abiti con plissettature semplici e dal taglio naturale, un chitone leggero, un tebenno a mo’ di cappa, il tutulus come copricapo, e dei raffinati calzari di gusto esotico con la parte anteriore a punta. Un’altra urna cineraria è conservata nel Musée du Louvre d’Oltralpe, e data l’uguaglianza dei caratteri intrinseci dei due sarcofagi, gli studiosi ipotizzano che le opere siano state realizzate dallo stesso maestro artigiano. Il monumento funerario fu acquisito da Napoleone III di Francia, figlio del Re d’Olanda Luigi e della Regina Hortense de Beauharnais, e si ritiene che sia stato realizzato in tempi successivi all’urna sepolcrale custodita nella Capitale.