L’Annunciata di Palermo
L’antico Palazzo Abatellis, storico edificio gentilizio costruito a Palermo alla fine del XV secolo dall’Architetto Matteo Carnilivari, era la residenza del Magister portulanus Francesco Abatellis, Pretore regio di Ferdinando II d’Aragona. La magione, sontuoso progetto gotico-catalano, ospita da quasi settant’anni i capolavori della Galleria Regionale siciliana, rilevante museo del patrimonio artistico-culturale dell’isola di opere del 1100 fino all’epoca dell’Illuminismo. Tra i capolavori più ragguardevoli c’è senz’altro L’Annunciata di Antonello da Messina, il pittore siculo che maggiormente influenzò il Rinascimento veneto con la tecnica del “tonalismo”, una nuova capacità di percepire le gradazioni di colore, le nuance e le sfumature nelle arti figurative, dove patine accavallate di colore, veli stratificati di tinte e sfumature di raffinate colorazioni donano ai dipinti straordinari effetti di spazio tridimensionale, e rilievi ed armonici connubi tra campiture, soggetti e suppellettili. L’Annunciata di Palermo è stata dipinta all’incirca nel 1475 e presenta reminiscenze stilistiche della scuola pittorica fiamminga: probabilmente il Nostro incontrò il famoso pittore Petrus Christus, nativo di Baarle-Hertog, con il quale si riscontrano forti affinità estetiche e profonde omologie artistiche. Il dipinto è un tipico esempio di pittura su legno: il soggetto è la Beata Vergine Maria e l’episodio ritratto ricorda l’Annunciazione del Signore descritto nelle Sacre Scritture da San Luca Evangelista. Maria, con indosso un lungo manto color indaco, volge lo sguardo verso destra e sembra che la sua attenzione sia indirizzata a qualcuno che le sta rivolgendo la parola, verosimilmente San Gabriele Arcangelo: l’atteggiamento è ieratico, il momento è solenne, e mentre la mano sinistra serra le vesti, con la destra sembra voler rendere meno veloce l’eloquio di chi sta parlando, e nel contempo mostra riserbo e discrezione. Maria è nel fiore degli anni e le sembianze del volto sono sobrie, misurate e raffinate: l’espressione e la gestualità, oltre all’attento studio fisionomico, rivela l’analisi introspettiva effettuata dal pittore messinese, che mostra nei tratti della Vergine uno stato d’animo solerte e sensazioni profonde. Un manoscritto, verosimilmente il cantico del Magnificat, è poggiato su un leggio dorato raffigurato in obliquo, e le sue pagine sono rivolte verso l’alto come mosse da un vento leggero, segno emblematico dello spirito divino. Il quadro è illuminato da una luce proveniente dove Maria volge lo sguardo, quasi a simboleggiare lo splendore dello spirito celeste. La composizione è trigona: il manto ha una forma piramidale, la sagoma del velo sotto il viso forma un poligono triangolare capovolto, e una direttrice immaginaria sembra dividere il dipinto a partire dalla plica delle vesti sulla testa. L’autore però non racchiude il personaggio in rigidi schematismi e paradigmi razionali, ma il delicato movimento del corpo dona all’opera leggerezza e semplicità. Alcuni studiosi ipotizzano che l’artista sia stato ispirato dalla figura di Santa Eustochia Smeralda Calafato dell’Ordo Sanctae Clarae, nata a Messina nel 1434.