Ezio Bosso: la musica classica mi ha salvato dal pregiudizio
Io non ti so dire se sono felice, però ti so dire che tengo stretti i momenti di felicità, così come accetto i momenti di buio, sono una persona normale. Così Ezio Bosso ha ribadito di recente in un’intervista alla domanda “sei felice?”.
Una felicità fatta di attimi fugaci, intervalli di buio e ombre, quasi come la flebile melodia di uno strumento, passione quella per la musica che lo ha portato a esordire come solista in Francia all’età di soli sedici anni, mentre l’esperienza viennese e l’incontro con Ludwig Streicher hanno segnato l’ascesa della carriera artistica.
Nel 2011 un intervento per l’asportazione di una neoplasia e l’avvento di una sindrome autoimmune, erroneamente indicata dai media come SLA, hanno compromesso la carriera da pianista. Ha sempre convissuto con la paura di essere “oggettivizzato”, il pregiudizio nei suoi confronti e con il mondo della musica “cosiddetta classica”, che come egli stesso ha affermato è “un’asserzione di libertà, lenisce i dolori dell’infanzia, tramuta la tristezza in bellezza e diviene angustia nei confronti di una patologia che provoca pregiudizio nell’ambiente”, lo stesso pregiudizio per cui “il figlio di un operaio non potrà mai diventare un direttore d’orchestra”. Ha sempre combattuto contro gli stereotipi e le più retrograde convenzioni sociali.
«Il sogno è che un’orchestra mi dica: facciamo tutto Beethoven. Così finalmente dirigo il mio papà musicale», perché Beethoven non fa paura, fa venir voglia di stare insieme, ridere e piangere, divertirsi. “Divertimento”, questo il termine che Bosso ha ripetuto sempre ai suoi orchestrali prima di solcare il palco, perché “esserci vuol dire esserci” e sentire per le strade il calore della gente e svelare l’arcano “mistero” della vita, squarciare i veli della quotidianità e ripetersi ogni giorno come diceva il maestro “ho avuto una vita meravigliosa”.