Ssss… sono commercianti di maiali (2a ed ultima parte)
L’espressione piacque ed ebbe fortuna. Da quel momento, il semovente “S.L.C.” (siluro a lenta corsa) si chiamò “maiale”. I primi due prototipi furono testati nell’ottobre 1935, nella base navale di La Spezia. Tale fu l’entusiasmo suscitato, durante la presentazione allo Stato Maggiore della Marina, che l’Ispettorato Sommergibili, diretto dall’Ammiraglio Mario Falangola, ne commissionò altri due. Nel 1939 il Reparto, che si addestrava all’uso di quei nuovi siluri fu trasferito a Bocca di Serchio (a sud di Viareggio), per apportare, in tempi ristretti, dei successivi perfezionamenti. E lì si stabilì, fino al 1943, anche il nucleo, segretissimo, degli Assaltatori Subacquei della “I Flottiglia MAS”, che dal gennaio 1941 assunse il nome definitivo di “X Flottiglia MAS” e che tanto fece disperare gli inglesi, poiché non riuscirono mai a capire come fosse articolata, dove si addestrasse e come fosse giunta ad elaborare tattiche e tecnologie belliche tanto irrazionali quanto geniali.
Dopo gli insuccessi, a più riprese, di alcune incursioni nel porto di Gibilterra, dovuti sì alla solerzia del nemico, ma anche ad una buona dose di sfortuna, venne il momento di ritentare. Annotò, più tardi, Junio Valerio Borghese, dal 1° maggio 1943 Comandante della “X MAS”: “Rimaneva integra la possibilità di rinnovare il tentativo, cogliendoli di sorpresa”. L’obbiettivo fu, però, spostato da Gibilterra a Malta.
Scrisse il giornalista Beppe Pegolotti: “Il colpo di Malta fu il colpo dell’orgoglio. Anzi bisognerebbe aggiungere: dell’orgoglio ferito, quindi della rivincita”. Doveva necessariamente rappresentare il prestigio dei mezzi d’assalto, il prestigio della Marina stessa, che aveva impegnato il proprio vanto nella nuova arma.
A Malta, agirono solo due “S.L.C.”, solo due “maiali”: quello di Teseo Tesei (che fece fuoco e fiamme per essere della missione) e quello del Tenente di Vascello, Francesco Costa.
Era la notte tra il 25 ed il 26 luglio 1941. Servendosi del silenzioso motore elettrico, il “maiale” dell’equipaggio Tesei-Pedretti (suo secondo) si portò ad un miglio dall’imbocco del porto de La Valletta, con l’intento di perforare con cariche di tritolo, le imponenti reti di ostruzione, al fine di consentire ai “barchini esplosivi”, una volta eliminati gli ostacoli, di essere lanciati contro le imbarcazioni nemiche. Il “maiale” di Costa-Barla avrebbe dovuto indirizzare le sue due cariche su altrettanti sommergibili, attraccati alle banchine. Era atteso il concorso dell’Aeronautica, per distrarre l’attenzione dei difensori nemici. Tre, i previsti bombardamenti: uno alle 1,45; un secondo, quello più violento, alle 2,30; un terzo, infine, alle 4,30, in simultanea all’attacco dei “barchini” motosiluranti. La prima incursione aerea non ci fu; la seconda fu condotta da un solo aeroplano; la terza, quella delle 4,30, avvenne con due apparecchi.
Prima dell’attacco, il silenzio era assoluto ed il mare calmissimo. Il trascorrere del tempo rendeva i nervi tesi al massimo. L’aurora sembrava ormai vicina. Ogni minuto che passava poteva essere fatale per i due siluri e per il resto delle forze presenti nella rada. Il Capitano di Corvetta Giorgio Giobbe, Comandante della Squadriglia, stava vivendo momenti tremendi. I “barchini” dovevano comunque attendere la prima esplosione, per lanciarsi contro le navi inglesi. Alle 4,30 in punto si avvertì una tremenda scossa, prodotta da una deflagrazione subacquea: ce l’avevano fatta. Era giunto il momento di dare il via all’operazione. Il Comandante Giobbe, però, esitava. L’esplosione c’era stata, ma non vedeva riemergere i suoi palombari. Il varco era stato veramente aperto? Nel giro di pochissimi decimi di secondo, al fragore dello scoppio, si unì quello di tutte le armi nemiche a presidio del porto: mitragliatrici e cannoni, confortate da potentissimi proiettori, che illuminarono a giorno la scena dell’attacco. Fu terribile! Uno dopo l’altro tutte le imbarcazioni vennero inquadrate, martellate, fulminate da migliaia di colpi. La carneficina fu brevissima, fino allo sterminio totale. Era scritto che la “lezione” sarebbe stata tremenda e la vendetta implacabile.
Di Tesei e Pedrotti non si seppe più nulla. Sembra che gli inglesi, non molto tempo dopo, abbiano ripescato una maschera di respiratore, con brandelli di carne e capelli.
A causa di guasti tecnici non ben definiti, che riguardarono il mezzo di Francesco Costa, venne accumulato, nelle operazioni di collocazione delle cariche, un ritardo tale da compromettere l’intera missione. Tesei, a quel punto, decise deliberatamente di “spolettare a zero”, rinunciando consapevolmente, assieme al suo secondo, il Palombaro Alcide Pedretti, ad allontanarsi prima dell’esplosione.
Il giorno precedente aveva scritto, ad una persona amica: “Quando riceverai questa lettera, io avrò avuto il più alto degli onori, quello di dare la mia vita per il Re e per la Bandiera”.
Malta fu una strage, un glorioso insuccesso. Dei quarantanove uomini che vi parteciparono, venti morirono ed altri diciotto (di cui la maggior parte feriti gravemente) caddero prigionieri. Ogni mezzo impiegato andò completamente distrutto. Tutto fu perduto, tranne che l’onore. Nove le Medaglie d’Oro, concesse alla memoria.
Quella pagina di tragico e sfortunato valore venne completata dal rapporto ufficiale del Vice-Ammiraglio, Sir Wilbrahan Ford: “Malta era munita di radar sin dall’inizio della guerra. Furono questi radiolocalizzatori che, nella notte del 25 luglio, individuarono e localizzarono la flottiglia d’assalto italiana che si stava avvicinando. Fu stato dato l’allarme ma i Caccia “Swordfish” e “Hurricanes” erano già pronti a decollare alle prime luci dell’alba. Il preavviso era stato dato prima di mezzanotte. La difesa costiera, le batterie del porto e i proiettori si tenevano pronti. Si accesero di colpo e illuminarono un gruppo di motoscafi esplosivi (E-Boats), che si dirigeva a tutta forza verso il punto dell’esplosione. L’area illuminata fu immediatamente battuta, da breve distanza, da un tremendo fuoco incrociato di tutte le armi che si trovavano sul posto; cannoni a tiro rapido, da 500 a 2500 metri di distanza, mitragliere Bofors e mitragliatrici. Il fuoco durò due minuti in tutto. Poi il silenzio: non c’era più nulla contro cui sparare….”.
Il Vicegovernatore di Malta, Sir Edward Jackson, ricordando, nei suoi appunti, l’episodio, il 4 ottobre 1941 scrisse: “Nel luglio scorso, gli Italiani hanno condotto un attacco, con grande decisione, per penetrare nel porto, impiegando MAS e “siluri umani”, armati da “squadre suicide” (…..). Questa impresa ha richiesto le più alte doti di coraggio personale”.
Comunque, in una notte senza luna del dicembre 1941, Sir Andrew Cunningham, Ammiraglio di Sua Maestà britannica, Comandante della flotta inglese nel Mediterraneo orientale, stava dormendo profondamente a bordo della Corazzata “Queen Elizabeth”, protetta da doppie reti antisiluro, nella sicura rada del Porto di Alessandria d’Egitto quando, all’improvviso, una forza sovrumana lo sollevò dal letto e lo scaraventò a terra, senza tanti complimenti. Il sogno del Capitano del Genio Navale, Antonio Marceglia, finalmente, si realizzò. Il suo “S.L.C.”, il suo “siluro a lenta corsa”, il suo “maiale”, gli diede questa grande soddisfazione.
Fu quello un episodio, tra i tanti di quella strana guerra sul mare, condotta da pochi uomini alla continua ricerca di un piccolo mezzo meccanico al servizio di una grande audacia. Quali fossero quegli uomini e quali quei mezzi, valeva la pena citarli brevemente. Essi rappresentarono quella parte della Regia Marina Italiana, che diede agli inglesi i più grossi dispiaceri.