Il Codice di Norimberga
Il Codice di Norimberga nasce all’indomani del processo svoltosi nella medesima cittadina bavarese dall’ottobre 1946 al luglio 1947 contro 23 responsabili di atroci nefandezze perpetrate su reclusi assoggettati a sofferenze e prove sperimentali quali cavie umane ad Auschwitz e Birkenau. Le tematiche del Codice sono state messe a punto dal fisiologo Andrew Conway Ivy della Contea di St. Francois nel Missouri, e dallo psichiatra di origini austriache Leo Alexander, in risposta all’assunto adottato dai difensori dei medici nazisti, i quali asserivano che la sperimentazione condotta in Germania era in linea con quella attuata su condannati a pene detentive nelle case circondariali statunitensi. I magistrati svilupparono il Codice e lo organizzarono in dieci punti, nei quali si sostiene che un individuo, al fine di una sperimentazione medica, deve dare il proprio assenso: tale beneplacito deve essere preceduto da un’adeguata informazione da parte di coloro che effettuano la ricerca medica riguardante la natura stessa dei test e i rischi ad essi correlati; la causa delle sperimentazioni deve avere come fine il miglioramento del benessere dell’essere umano; la conduzione degli esperimenti non deve provocare nessun nocumento o sofferenza al volontario: se il medico è consapevole che i test potrebbero danneggiare o uccidere colui che si presta volutamente, la sperimentazione non deve essere eseguita; è stato messo in risalto e dato rilievo al principio rischio/beneficio delle sperimentazioni; qualora il volontario decidesse di interrompere l’esperimento, i test vanno sospesi immediatamente; gli esperimenti devono essere effettuati da personale qualificato e “scientificamente adeguato”. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, l’11 dicembre 1946, emise la Risoluzione n.95/I, la quale ribadisce l’esigenza di regolamentare quanto sancito dalla sentenza del processo di Norimberga: il 29 luglio 1950, la Commissione del Diritto Internazionale delle Nazioni Unite stila 7 Principi di Diritto internazionale riconosciuti nello Statuto e nella sentenza del succitato Tribunale. In linea di principio si stabilisce che l’imputabilità penale internazionale è personale: qualunque individuo che commetta un reato contro il Diritto della Comunità degli Stati è perseguibile penalmente; le violazioni del Diritto internazionale che danneggiano la Comunità sopranazionale non sono soggette al Diritto interno dello Stato di appartenenza; la qualifica di colui che viola il Diritto internazionale non lo rende immune davanti alla Legge: sia anch’egli il Capo dello Stato è sempre soggetto all’imputabilità penale internazionale personale; stessa cosa per colui che esegue un ordine impartito da terzi: qualora il comando impartito sia lesivo e criminoso non deve essere eseguito, pena l’incriminazione personale; ovviamente l’imputato ha diritto ad un equo processo, come sancito nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948 (Risoluzione 219077A), e nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950.