Il sistema delle garanzie: il ruolo dei Tribunali ad hoc nella repressione dei crimini di guerra
Per “crimine di guerra” si intende una violazione degli accordi internazionali che regolano i comportamenti dei belligeranti: una trasgressione, quindi, degli accordi giuridici che disciplinano alcuni ambiti dell’arte militare, come la strategia e la tattica. L’inosservanza, l’inadempienza, l’infrazione dell’apparato giuridico in guerra determina severe sanzioni, pene rigorose e pesanti condanne, pertanto, ogni azione antitetica e contrapposta al Diritto Internazionale Umanitario è da considerarsi war crime. L’Art.8 dello Statuto della Corte Penale Internazionale definisce chiaramente quali sono quegli atti reputati disumani durante le ostilità armate, e rende espliciti i margini da non oltrepassare per non incorrere nei delitti di lesa umanità. L’infrazione delle norme statutarie della Convenzione di Ginevra del 1949 e l’inosservanza delle disposizioni del Diritto Internazionale rappresentano dunque un crimine di guerra. Il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia (International Criminal Tribunal for the ex Jugoslavia) era un collegio giudicante ONU per le atrocità commesse durante le cosiddette “guerre jugoslave” aventi come casus belli le spinte nazionaliste degli Stati della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia: il lavoro dell’ICTY, che poteva contare su un personale di oltre 1.000 unità, è durato ben 24 anni e il foro ha ampiamente difeso il principio morale e antropocentrico delle vittime di guerra sancito dal Diritto Internazionale Umanitario. La Risoluzione n.827 dell’United Nations Security Council, ha dato vita nel 1993 al succitato organo giudiziario, competente per i conflitti della Repubblica slava di Croazia, della Bosnia ed Erzegovina della penisola balcanica, e delle Repubbliche del Kosovo e della Macedonia. La Corte di giustizia era formata dalla Procura, dalla Cancelleria e dalle Camere giudicanti: lo statunitense Theodor Meron, nativo di Kalisz in Polonia, è l’ultimo Presidente a sovrintendere i lavori dell’organo collegiale. I Giudici hanno lavorato sugli stermini di massa, le azioni criminali contro il genere umano, l’inosservanza della Convenzione di Ginevra del 1949 e le trasgressioni alle normative del DIU. Importanti i risultati raggiunti: dopo 154 processi che hanno visto protagonisti un Presidente della Repubblica, Politici e Ministri, alti gradi delle Forze Armate e delle Forze di Polizia, tra gli altri, ci sono stati 83 verdetti di condanna, 19 giudizi di proscioglimento, e 2 persone incriminate e rinviate a giudizio dell’International Residual Mechanism for Criminal Tribunals, un Collegio giudicante istituito con Risoluzione ONU n.1966 per completare le attività dei Tribunali Penali Internazionali per il Ruanda e per l’ex Jugoslavia. L’International Criminal Tribunal for Rwanda era anch’esso un organo giudiziario ONU impiantato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per le crudeltà commesse durante il genocidio dei Tutsi: il lavoro del Collegio è durato ben 21 anni. La Risoluzione n.955 dell’United Nations Security Council ha dato vita nel 1994 al succitato Collegio: successivamente, con le Risoluzioni n.977, 978 e 1185, il Consiglio stabiliva la sua sede nella città di Arusha della Repubblica Unita di Tanzania, prescriveva l’apporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e, infine, istituiva la creazione di un ulteriore organo collegiale. Anche in questo caso, come per l’ex Jugoslavia, gli imputati erano Politici, Ministri, e alti gradi delle Forze Armate: a questi si sono aggiunti i dirigenti dei famigerati “media dell’odio”, cioè quei network radiofonici e quelle stazioni televisive imputate di hate campaigns, incitamento allo sterminio di massa e induzione al genocidio. Anche i Magistrati del Regno del Belgio, della Repubblica francese e della Confederazione svizzera hanno emesso sentenze di condanna per 11 ruandesi che si sono macchiati dell’eccidio. Il danese Vagn Joensen è l’ultimo Presidente a coordinare i lavori del Collegio giudicante.