Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi)
Erano circa le 3 di pomeriggio del 27 gennaio 1945 quando la 60a Armata dell’Esercito Sovietico, dopo una furiosa battaglia in cui persero la vita più di duecento soldati russi, si ritrovò davanti ai cancelli di Auschwitz. Dopo aver abbattuto i cancelli del campo di concentramento, non molto lontano da Cracovia in Polonia, lo scenario che si presentò agli occhi dei soldati russi fu terrificante: circa 9.000 reclusi, deboli, esausti e malati, di cui 600 già morti, erano stati lasciati indietro dalle SS che avevano, con molta fretta, evacuato il campo portandosi dietro altri 60.000 prigionieri, fatti marciare verso la Germania dopo aver tentato di nascondere le prove delle atrocità commesse in quei luoghi. I tedeschi in ritirata, infatti, distrussero gran parte dei magazzini e dei forni crematori del campo e costrinsero i prigionieri ancora abili a marciare verso ovest, in quelle che poi sarebbero state definite Marce della Morte, per arrivare nella tana del lupo, in territorio tedesco. Migliaia di prigionieri, sofferenti e volutamente denutriti, per non sprecare risorse da riservare agli “ariani”, persero la vita lungo il cammino nel freddo dell’inverno polacco, mentre nei magazzini ancora in piedi nel campo di Auschwitz i sovietici trovarono il vero orrore: oggetti personali delle vittime, tra cui centinaia di migliaia di abiti, un’impressionante quantità di chili di capelli, un’infinità di scarpe per adulti e, più tremendamente, tante calzature per bambini. Tutto ebbe inizio la mattina del 20 gennaio 1942 quando alti rappresentanti del Terzo Reich si ritrovarono a Wannsee, appena fuori Berlino, per organizzare “la soluzione finale” per il problema d’Europa: gli ebrei. Tra loro c’era anche Adolf Hitler. La riunione, durata poco più di un’ora, portò alla pianificazione di una vera esecuzione di massa di tutti gli ebrei in Europa. Già tra il 1943 e il 1944 furono uccisi due milioni di persone e solo ad Auschwitz-Birkenau si arrivò ad uccidere anche 10.000 persone al giorno. La banalità del male. L’esecuzione di creature innocenti non ebbe niente di logico e se dapprima si utilizzò il più classico sistema della fucilazione, successivamente per il disgusto di alcuni ufficiali tedeschi nel vedere il sangue e per far presto nell’ingraziarsi il Fuhrer, si decise di trovare un modo più rapido ed efficiente per eliminare la razza che Hitler definiva impura. Questo il vero motivo della costruzione delle diverse città della morte, di campi di concentramento pensati non come prigioni ma come cimiteri viventi con camere a gas e forni crematori. Ancora una volta la banalità del male. Le vittime alla fine dell’olocausto furono quasi 17milioni, un misto di diverse etnie tra cui sei milioni di ebrei. Numeri mostruosi, impensabili, forse perfino troppo grandi da comprendere fino in fondo. Sono numeri di una pura e semplice follia umana. Come detto la banalità del male. Primo Levi ci raccontò, insegnandocelo, che «L’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria». Proprio per questo, per dare un valore alla memoria, nel 2000 il Parlamento italiano, con la Legge 211 del 20 luglio, ha istituito il “Giorno della Memoria”. «La Repubblica italiana riconosce il giorno (27) ventisette gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati». In tutto il mondo il 27 gennaio è diventato il giorno del ricordo, una data che non serve solo a ricordare le vittime dell’Olocausto, della Shoah, ma ancor più per riaccendere la memoria, quel fondamentale seme morale che va coltivato, curato e alimentato sempre per non ripiombare negli errori del passato. Il 27 gennaio porta con sé anche il peso di ciò che l’uomo può fare ai suoi simili in nome e per conto di ideologie folli e criminali. Il Giorno della Memoria è una difesa delle diversità, diventa baluardo nei confronti di un estremismo ideologico che sta riprendendo quota, in varie forme, in una società moderna che forma coscienze anestetizzate, sempre più aride e meno attente agli altri. La voce dei sopravvissuti allo sterminio, per il naturale scorrere del tempo, si va sempre più affievolendo e presto non sarà più possibile ascoltarla. Dobbiamo rendere la memoria indelebile, scolpita nelle coscienze delle giovani generazioni che non potranno più recepire quelle toccanti testimonianze dirette. Ricordiamoci quindi di ricordare, per il nostro presente, per il nostro futuro, per i nostri figli.