La dipendenza affettiva
Per dipendenza affettiva si intende un’alterazione dei legami interpersonali relativa alla psiche, uno stravolgimento dell’istanza interiore del sé quale rapporto dinamico-relazionale allo stato d’animo altrui: i legami convolti subiscono dunque un disagio emotivo che porta ad una disfunzione del senso d’identità della persona e dell’intimità emotiva. L’abituale relazione interpersonale è “turbata” dalla dipendenza, che si manifesta con un rapporto nocivo di secondarietà e una condizione dannosa di affezione: i legami diventano disomogenei, morbosi e innaturali. Il rapporto affettivo diventa un capestro, un nodo scorsoio, e il normale rapporto a due diventa un vero e proprio annichilimento di sé stessi e delle proprie necessità. Molteplici i campi delle disfunzioni relazionali: la dipendenza affettiva si può manifestare in ambito familiare, professionale, nei legami sentimentali, nei rapporti d’amicizia. Oggetto del dipendente affettivo è il bisogno del sentimento d’amore, verso il quale prova carenza e ne teme la privazione: tale necessità porta la persona ad un pensiero esacerbante e maniacale con un conseguente distacco da sé stessa e dalla cosiddetta “autonomia emotiva”, quella capacità di controllo del proprio stato psichico durante uno sconvolgimento della stabilità emozionale. La psiche è tratta in inganno e mente a sé stessa mistificando il concetto di governo e dominio sull’altra persona limitando, così, la propria autonomia, la facoltà di agire e la gerenza degli affetti. Ogni rapporto è soggetto, nel tempo, a comuni variazioni e a naturali metamorfosi, che vanno dai dissapori più semplici a ferite più significative, le quali richiedono un’adeguata resilienza che renderà migliore la qualità del rapporto stesso: il dipendente affettivo, incapace di evolversi da un modello sublimato, da un ideale mitizzato e trasfigurato, è tormentato dalle dinamiche evolutive della vita e non è in grado di reagire e replicare alle variazioni della “liaison”. Come accennato, persino il nucleo familiare non è scevro da tale problematica: ai figli, talvolta, viene negata da genitori “affettivamente dipendenti” la libertà di agire senza costrizioni, di vivere secondo la propria volontà, e impediscono aperture osmotiche all’esterno della compagine familiare. Tale atteggiamento di danno endofamiliare è pericolosissimo: è noto che ogni persona ha un bagaglio emozionale che possiede sin dalla prima età e quando si parla di “bambino ferito”, ci si riferisce a colui che possiede riferimenti empirici dannosi relativi all’infanzia. L’atmosfera emotiva della famiglia e lo stile genitoriale influenzeranno per sempre la vita dei figli che si riferiranno ai paradigmi trasmessi ripetendo i medesimi errori. Dunque la dipendenza affettiva è una compromissione dell’equilibrio di relazione tra due o più persone, dove il comportamento di taluno non è più egosintonico, ma compulsivo ed egodistonico: la miscela diventa esplosiva quando una persona “dipendente affettiva” incontra sul proprio cammino un “evitante affettivo”, in quanto la prima deifica la seconda, e questa, trovando conforme alla propria indole il comportamento del dipendente, trae vantaggio dalla circostanza dando vita a sciagure relazionali. Non esiste diagnosi del quadro clinico perché la dipendenza affettiva non è contemplata nel “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders” (DSM-5), la monografia elaborata dall’Associazione Psichiatrica Americana (APA). Possiamo dunque dire che “la dipendenza affettiva disfunzionale è definibile come uno stato patologico in cui la relazione di coppia è vissuta come condizione unica, indispensabile e necessaria per la propria esistenza” (https://www.ipsico.it/sintomi-cura/dipendenza-affettiva/). Il dipendente affettivo non ha coscienza del sé e dunque si immola per ottenere cure e amorevolezze dal suo “denotatum”, cioè dal suo modello ideale. Carl Ramson Rogers, psicologo dello Stato dell’Illinois, sostiene che il dipendente affettivo, nella sua storia evolutiva, ha dovuto ricusare la facoltà di scegliere liberamente, ha fatto a meno delle proprie necessità, si è privato delle proprie abitudini, ha rinunciato a perseguire i propri obiettivi, al fine di assicurarsi il sostegno e le cure genitoriali, i quali, statisticamente, sono risultati quasi sempre affetti da depressione o con situazioni di difficoltà e in stato di necessità. Indotto ad assumere un ruolo da adulto, il soggetto ha dovuto, suo malgrado, prestare la propria assistenza e darsi premura per i genitori creando una lesione nella relazione del sistema dinamico di attaccamento adulto-bambino. Questi “enfant prodige”, che in apparenza sembrano avveduti, coscienziosi e assennati, sono il frutto di un diritto negato, di un’infanzia piena di ferite emotive, che hanno sempre tentato di curare i propri genitori per poter avere come contropartita le loro premure, e la proiezione emotiva nella vita affettiva da adulto è lapalissiana: la loro “comfort zone” non è stata certo la presenza dei genitori, la “base sicura” di bowlbyana memoria non era la madre, una presenza-assenza priva di coesione e consequenzialità, con un cospetto rapsodico e frammentario che ha indotto a bassa autostima e, a volte, a personalità abbandoniche. Studi di eziopatogenesi condotti da équipe mediche hanno ampiamente dimostrato la correlazione con shock emozionali dell’infanzia e trascuratezza dell’istituto familiare: solo con lo “stile di attaccamento sicuro” di reminiscenza bowlbyiana si pongono le premesse della psicologia del sé, con divisione armonica tra indipendenza affettiva e sudditanza sentimentale con attivazione di atteggiamenti resilienti e protettivi.