“Digitalizzare sì ma senza sacrificare l’Human factor”
Biagio Costanzo – Siamo caduti oramai nel limbo dello Smart Working., o meglio telelavoro, o meglio Home Working (che poi è quello che è), insomma queste modalità di prestazioni lavorative, che fino al dicembre 2019 erano argomenti di progetti pilota e che riguardavano solo il 13% delle imprese, ma con lo scoppio dell’emergenza sanitaria hanno riguardato la maggior parte della popolazione dipendente e non, sia pubblica che privata e oggi solo il 4% non lo ha mai sperimentato.
Molti gli aspetti positivi quali per esempio l’aspetto ambientale, secondo una ricerca effettuata da Confindustria e Federmanager, il lavoro agile ha causato minori spostamenti contribuendo sensibilmente a ridurre le emissioni di anidride carbonica e consentendo a ciascuno risparmi economici non sottovalutabili. Inoltre l’aumentata capacità di innovazione delle aziende, grazie alla formazione, ha potuto sostenere in smart working e contemporaneamente il 56% dei suoi lavoratori.
Ecco perché più della metà delle aziende, il 54% per l’esattezza, si dice certa di utilizzare lo smart working non soltanto durante questa lunga fase di emergenza sanitaria, ma anche dopo, in misura permanente.
Poi vi è anche una platea vasta di chi afferma che, da casa, l’organizzazione del lavoro e della tempistica in cui mediare attività lavorativa e supporto alla famiglia sia più gestibile.
Di contro c’è tutto il resto.
Credere di archiviare le prestazioni in presenza con un tratto di penna è utopistico. Innanzitutto non si riflette a fondo sul fatto che sì, vi sono risparmi ingenti su affitti e spese correlate ma questo confligge con la contemporanea crisi economica dei settori dell’indotto, da quello immobiliare/edile, appunto, ai servizi di pulizie/manutenzioni/impiantistica a quello della ristorazione sia esterna, bar, ristoranti, bistrot etc. etc, che interna, le mense aziendali.
Poi vi è l’effetto sociale come viene chiamato. Come si fa a sottovalutare, dal punto di vista antropologico e delle nostre identità, gli effetti del rapporto umano/fisico che deve esserci tra esseri umani e quindi tra colleghi?
La mancanza di rapporti sociali e l’impossibilità di interagire fisicamente con il proprio gruppo di lavoro, interazioni non sostituibili definitivamente da presenze in video, a volte solo in voce per conservare un senso di privacy dell’ambiente dal quale uno si collega. E proprio soffermandoci sui “collegamenti” non dimentichiamoci alcuni problemi tecnico-logistici, come i problemi di connessione, gli spazi limitati a disposizione e l’assenza di infrastrutture e strumenti idonei al lavoro da casa.
È evidente il rischio di un ricorso eccessivo a videoconferenze, sull’alienazione del lavoro, e sull’operare senza limiti di orari.
E non soffermiamoci sulla DAD e sul recente report proveniente dai reparti di Neuropsicatria infantile di due grandi nosocomi della Capitale che indicano l’aumento esponenziale di ansia, paura e depressione dopo un anno di teledidattica.
Ora siamo in una bolla, siamo ancora some sospesi ma prima o poi la questione della sicurezza del lavoro, non più solo presso gli uffici ma dai “nuovi “uffici che sono le proprie abitazioni, emergerà in modo esponenziale e succederà quando inevitabilmente un evento di rischio avverrà e quindi bisogna non farsi cogliere impreparati anche su questo ma studiare e prevenire. Si parla anche di nuova mobilità, ben venga anche per programmare la “rivoluzione ecologica” così tanta decantata ma che rischia di rimanere un semplice vuoto slogan, se intendiamo rivoluzionare abitudini ed esigenze consolidate con monopattini e biciclette in assetti urbanistici poco consoni o se non si compie davvero uno sforzo di investimenti corposi sui trasporti pubblici che sostituiscano i mezzi privati per la mobilità.