“Sotto il velame dei versi strani” l’orientamento sessuale del Sommo Poeta

Non è semplice pronunciarsi sull’orientamento sessuale di Dante Alighieri, assolutamente non si vogliono avanzare asserzioni, ne strumentalizzare congetture, ma bensì coagulare pensieri intorno a punti chiave: Latini Brunetto, la guida e mentore di Dante negli anni della giovinezza; i migliori amici, Donati Forese, Cavalcanti Guido, Gianni Lapo; la guida nei primi due regni dell’oltretomba, Virgilio; Beatrice che assume il ruolo di guida fino al decimo cielo del Paradiso; la moglie Gemma Donati.
Brunetto Latini, eminente studioso, notaio, magistrato e uomo di lettere, è ritratto da Dante nel settimo cerchio dell’inferno quello dei violenti, nel terzo girone dei sodomiti. Dante, da una parte, gli tributa un affetto devotamente filiale, che lascia ipotizzare una sorta di precettore, e dall’altra, svergogna platealmente il suo padre spirituale. Brunetto Latini, alla vista di Dante, gridava: << qual meraviglia>>, fermatosi a parlare, vedendo avvicinarsi un altro gruppo di anime, si affretta a raggiungere di corsa i propri compagni di pena, pregando l’interlocutore: << Sieti raccomandato il mio tesoro, nel qual io vivo ancora, e più non cheggio>>, Inf. XV. vv. 119-120. Dante lo paragona a un corridore che corre il palio di Verona e ne è vincitore. Il Tesoretto è un testo finalizzato all’insegnamento, narrativamente presentato come lezione ad un gaio e piacente studentello bolognese, che lascia una possibilità di lettura complessiva in chiave omoerotica:

incontrai uno scolaio
su ‘n un muletto vaio,
che venia da Bologna,
e sanza dir menzogna
molt’ era savio e prode:
ma lascio star le lode,
che sarebbono assai.

È risaputo che Forese Donati e Dante ingaggiarono uno scambio di sonetti volgari, osceni, e sessualmente oltraggiosi. Dante lo colloca tra i golosi della VI Cornice del Purgatorio. L’anima di Donati scrutando Dante esclama sbalordita: << qual grazia m’è questa?>> , dopo il dialogo, Donati si allontana a gran passo, paragonato ad un cavaliere che si stacca dalla schiera e avanza da solo per avere l’onore del primo colpo in battaglia. In questa terzina:

[…] <<Se tu riduci a mente
qual fosti meco, e qual io teco fui,
ancor fia grave il memorar presente.

si lascia intendere che, nei trascorsi giovanili del poeta, ci sia stata una relazione omosessuale con Forense.
L’incontro di Forese e quello con Brunetto e le rispettive scene di commiato hanno somiglianza, certo, potrebbe trattarsi di una coincidenza, ma in entrambi gli episodi l’interpretazione in chiave sessuale è più che probabile. L’analogia tra il riconoscimento e la partenza di Brunetto e quello di Forese non può essere casuale, tenuto conto della laboriosa e meticolosa stesura delle terzine dantesche, e dei quattro significati distinti in: letterale, allegorico, morale e anagogico.

Sappiamo che Dante da giovane ricercava e gradiva la compagnia di belle donne, è evidente, ad ogni modo, che il suo interesse per le donne non era limitato a Beatrice.
La vita amorosa del poeta andava al di là della visione di un’unica donna idealizzata. In un erotico sonetto, esprimeva il desiderio di salpare a bordo di una barca con Guido e Lapo e tre donne:

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.

Si dice che Guido Cavalcanti e Lapo Gianni, entrambi coniugati, si dividessero la stessa amante, ma un altro sonetto rilevatore di Lapo di Farinata degli Uberti ci lascia meglio comprendere l’orientamento sessuale del grande poeta e filosofo Guido Cavalcanti, detto “paletto” e autore della ballata In un boschetto trova’ pasturella:
Guido, quando dicesti pasturella,
vorre’ ch’avessi dett’un bel pastore:
ché si conven, ad om che vogli onore,
contar, se pò, verace sua novella.
Tuttor verghett’ avea piacente e bella:
per tanto lo tu’ dir non ha fallore,
ch’i non conosco re né ‘mperadore
che non l’avesse agiat’a camerella.
Ma dicem’ un, che fu tec’ al boschetto
il giorno che sì pasturav’ agnelli,
che non s’avide se non d’un valletto
che cavalcava ed era biondetto
ed avea li suo’ panni corterelli.
Però rasetta, se vuo’, tuo motetto.

Dunque, il sommo Poeta negli anni giovanili della formazione culturale tanto filosofica quanto teologica, si trattava con omosessuali di spicco. Come del resto, Virgilio, la guida “viator” di Dante nel viaggio nell’Inferno e nel Purgatorio e suo “maestro”, punto di riferimento letterario nella composizione della Divina Commedia, fu autore di una delle poesie più candidamente omosessuali della classicità, l’ecloga Formosum pastor Corydon ardebat Alexin, fu noto a Roma con il soprannome di puella, per ovvio motivo.

La figura di Beatrice, la concezione di amor cortese, nata tra l’XI e il XII secolo, e ancora cantata dai provenzali nel XIII secolo era un senhal di qualcos’altro. Poteva essere un simbolo dell’inrraggiungibile castellana, donna del signore, oppure la spiritualizzazione metaforica di una frustrazione sociale, non certo il nome di battesimo di una donna reale. L’identificazione della fiorentina Beatrice Portinari, sposa di Simone Bardi e prematuramente morta , risale a Boccaccio, a circa 70 anni di distanza dalla composizione della Vita Nova, così presentata: […] quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice, li quali non sapeano che si chiamare. Cioè molti non sapevano come si chiamasse in realtà questa persona, e fu chiamata Beatrice, nome beatificante di un senhal criptato. Ciò che conta è il suo significato terapeutico “colei che dà la beatitudine” e il cripto-segreto: […] Bieltade appare donna poi, …nasce un disio de la cosa piacente… E simil face in donna omo valente, Vita nova. Ossia reciprocità di equivalenza di genere, il femminile dentro di sé. Nel Purgatorio è paragonata a un ammiraglio, pertanto a rigor di termini, non sappiamo se fosse donna, una musa o un uomo. Inoltre nel De Vulgari eloquentia, Libro secondo I, traspare l’atteggiamento maschilista di Dante verso le donne quando non ci verseggia sopra:
<<E in riferimento al passo dove si afferma che a mescolare cose di maggiore e di minor pregio queste ultime ne hanno un vantaggio, diciamo che è vero quando venga meno la possibilità di distinguerle: poniamo se si fondono assieme oro a argento; ma se la possibilità di distinzione rimane, le cose di valore inferiore diventano ulteriormente vili: come quando avviene che belle donne vadano assieme a donne brutte. Pertanto, siccome il pensiero dei versificatori si unisce alle parole restandone però sempre distinto, se non sarà della miglior qualità associandosi al volgare più alto non apparirà migliore ma peggiore, come una donna brutta a vestirsi d’oro o di seta>>.
La pressoché sconosciuta Gemma Donati è totalmente assente dalla poesia di Dante. Dimenticata dal consorte, mai un accenno, ne una preoccupazione neanche nelle lettere dall’esilio, proprio come se non fosse mai esistita. Boccaccio afferma che fu un matrimonio infelice. Si può immaginare che la consorte non lo seguì nell’esilio perché un marito perennemente in lacrime per la <<donna gentile>> dovesse mettere in crisi la fiducia in un matrimonio nato non dall’amore né da una naturale passione sessuale ma bensì da un interesse economico e da una fredda copulatio per generare eredi.
Per concludere, Dante :
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.

Si ritrovò a passare da un amore viscerale per Guido, e per chi colme lui, a un grande odio viscerale, tanto da condannarlo all’esilio con sua firma in un luogo insano ed infetto. Guido Cavalcanti si ammalò di malaria, per poi morire a Firenze. Mentre Dante, Sommo Poeta, dopo essersi epurato dal peccato, tanto da poter procedere salendo verso il cielo per un “matrimonio mistico” con Dio, in quanto i suoi progressi conoscitivi verso l’illuminazione erano spesso espressi in termini erotici, tanto che la stessa estasi spirituale era simile ad un orgasmo, si ammalò, per ironia della sorte, anche lui di malaria e come un comune mortale <<che quel che semina raccoglie>>, rese il suo spirito a Ravenna, lontano dalla sua amata Firenze.

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