Intervista ad Elisa Ruotolo
Abbiamo incontrato una delle più grandi scrittrici del nostro tempo, Elisa Ruotolo, classe 1975, che con Nottetempo ha pubblicato nel 2010 il suo libro d’esordio, la raccolta di storie brevi Ho rubato la pioggia (Premio Renato Fucini e finalista al Premio Carlo Cocito; tradotto in Francia e Stati Uniti). Da qui poi nel 2014 il suo primo romanzo Ovunque, proteggici (Selezione Premio Strega 2014 e finalista al Premio Internazionale Bottari Lattes Grinzane) e nel 2019 la raccolta di poesie Corpo di pane. Per Interno Poesia ha curato il volume Mia vita cara. Cento poesie d’amore e silenzio di Antonia Pozzi (2019). La sua ultima opera letteraria si chiama “Quel luogo a me proibito”, edito da Feltrinelli. Insomma una delle scrittrici difficilmente da collocare in un canone e indomabile di un linguaggio ibrido che nessuno mai aveva conosciuto.
Benvenuta Elisa, sulla testata giornalistica online “Deanotizie”. Nell’ultimo tuo capolavoro letterario “Quel luogo a me proibito” ripercorri il tempo della tua vita in maniera casuale. Da che cosa nasce tale libro?
Nasce dal bisogno di comprendere e di comprendermi. Questo libro è frutto di un periodo di spaesamento, eppure è la cronaca di un ritrovarsi vivi, alla fine di tutto. Credo di aver trasformato il dolore in qualcosa di diverso, che smette di pungere. Qualcosa in cui è facile ritrovarsi e rispecchiarsi. Il recinto, soprattutto le limitazioni feroci vissute dalla mia protagonista, non sono private, ma universali. Tutti siamo stati amputati, recisi, ridotti a essere (per ragioni varie) ciò che spesso non avremmo desiderato. Il tempo della mia voce narrante è mescolato, casuale, perché nella sua esistenza non c’è stata evoluzione: le età mancate – infanzia, adolescenza, prima giovinezza – sono tutte trattenute con fermezza testarda, in quando mai vissute pienamente.
Nel libro sono rimasto colpito dalla seguente frase: “le estati sono rimaste a lungo identiche, forse a causa mia che non ho saputo farmi adulta”. Che cosa vuoi esprimere con ciò?
Volevo esprimere la consapevolezza di quanto il tempo non vissuto possa risultare immobile, e in quell’immobilismo insidiarsi la non crescita. La donna che racconta la propria storia è un essere umano a cui è stata impedita la consapevolezza del proprio sé e del proprio corpo. Tutto intorno a lei è cristallizzato in una piccolezza artificiale, in una purezza apparente in cui, a quarantadue anni, lei sente di non riconoscersi. Ma crescere in ritardo è faticoso: è un partorirsi da capo, doloroso quanto ogni venuta al mondo.
Nella seconda parte del libro delinei di non sperperare i giorni della vita e che nessuno di noi è in grado di prevedere il peso di ogni singolo momento. Ti riconosci con le tue vesti nella società attuale?
Io non mi sono mai sentita contemporanea. Attraverso questo tempo con estremo pudore e con uno sguardo che tenta la comprensione. La fretta che guida molte delle nostre giornate, confesso, non mi appartiene tantomeno il chiasso. Il mio passo è lieve e calmo. Sostanzialmente vivo come scrivo. Credo che non si debba fare velocemente (tanto meno chiassosamente) niente che possa essere svolto adagio e in silenzio.
Si parla di educazione sentimentale costruita allo stesso modo di un puzzle. Confrontandola con quella di oggi cosa affermi?
L’educazione sentimentale è qualcosa di estremamente complesso, ma trascurato. Spesso ciascuno di noi ha dovuto costruirsi un percorso da autodidatta e soffrire, scottarsi, per giungere alla consapevolezza di ciò che si è e di ciò che profondamente si desidera. Spesso ho pensato che siamo più proiettati verso la superficie che disponibili alle profondità. Calarsi nel fondale non è semplice e preferiamo non rischiare. Allora amiamo ciò che è rassicurante, ciò che non comporterà un giudizio. Seguiamo l’approvazione. Ma “al mondo non si sta composti, si sta vivi” scrivo nel mio libro. Ecco, a volte temo che dimentichiamo di vivere.
La dimensione del segreto su alcune questioni di vita prevale nel libro e tutti abbiamo qualcosa da nascondere? Pensi che sua un aspetto importante?
Tutti abbiamo una parte nascosta che non amiamo mostrare, e nel fare questo trasformiamo la naturalità del nostro essere più nudo in un luogo proibito, interdetto, quasi da proteggere. Non so se sia importante avere segreti, so che non averne paura aiuta a vivere.
Viene posta molta attenzione per la parola, lei pensa che la letteratura possa cambiare l’attuale mondo caotico?
Forse i grandi problemi del mondo non possono essere risolti dalla letteratura, eppure essa ci darà sempre gli strumenti per abitarli e viverli e raccontarli. Non c’è traccia più indelebile di ciò che siamo stati e che siamo adesso se non nelle parole, nelle storie. Nei classici, ad esempio, c’è la nostra archeologia, eppure già l’anticipazione di quello che siamo e che forse saremo. Ogni buon libro è una sorta di reperto, ma anche una profezia.
Ci parla delle influenze letterarie che ha avuto o degli scrittori che ama?
Amo moltissimo la letteratura russa dell’800 e in particolare Dostoevskij, quell’indagine interiore, quella capacità di fondere umiltà, carità e martirio, mi hanno sempre affascinata. Credo di aver assorbito proprio da Dostoevskij la consapevolezza che siamo un impasto di luce e ombra, che abbiamo una natura caravaggesca. La cura della lingua, poi, quel piegarsi sulla pagina con la vocazione dell’artigiano credo di averle apprese leggendo Morante, Ortese (dove la bellezza diventa quasi una cifra morale), Pavese e Fenoglio.
E già al lavoro con una nuova opera letteraria?
Sì, sto lavorando a un testo poetico. Ma gli inizi sono questioni troppo fragili e delicate per poterne parlare. Tuttavia scrivo, sì. Scrivo e resto viva nelle parole.
Auguriamo alla scrittrice Elisa Ruotolo che il suo successo letterario si elevi sempre più in alto.