“Essere o non essere”: fato o caso
Nello scorrere degli anni si può radicare la teoria che, “metaforizzando” in termini narrativi, l’esistenza, nel suo ordine logico e cronologico, rappresenti la storia della nostra vita, con un inizio e una fine già prestabiliti da un autore-demiurgo, mentre ognuno di noi, complicandola e arricchendola di elementi, ne conduca l’intreccio.
Chiamatelo fatalismo o altro, non è questo il problema.
Ciò che invece merita un’attenta riflessione, è come l’uomo contemporaneo, con la “prodigiosa consapevolezza” di Amleto (Henry James), il personaggio shakespeariano precursore dei nostri tempi, abbia cercato di rispondere a tale dilemma.
Illuminanti spunti interpretativi sulla questione giungono dalla settima arte, che, elaborando e scomponendo il tessuto filmico, offre sull’argomento le combinazioni più variegate. Si pensi a come Sliding Doors, per esempio, mescoli le carte ipotizzando che possa essere l’intreccio, pilotato da eventi casuali, a cambiare e a sdoppiare completamente la storia; per non parlare del racconto circolare, a ritroso, parallelo ed ad incastro onirico costruito rispettivamente in Pulp Fiction, Memento, 21Grams e Belle du Jour.
Dall’altro canto, il libero arbitrio pare assumere invece connotati particolarmente inquietanti, dalla sua manifestazione come pura scelta del male (A Clockwork Orange) a quella di semplice inganno (Minority Report).
Forse se è vero che alcune vite, a lieto fine o meno, somigliano ad un romanzo, è altrettanto plausibile che il loro tortuoso percorso, parafrasando Shakespeare e Pirandello, non sia altro che un’azione scenica, un teatro sul cui palco si agitano registi, attori, comparse, o solo maschere.