Laureati in cerca di lavoro

Iperqualificati, una miriade di sogni nel cassetto, alle spalle anni di studio e sacrifici. I laureati contemporanei portano sul viso i segni indelebili di una società frantumata, flessibile e precaria.
Un tempo conquistare il titolo di “Dottore” era sinonimo di una lavoro sicuro, una posizione degna delle proprie capacità, una retribuzione in grado di sganciarti dal nido materno.
Oggi i neo-dottori sono frustrati, delusi, traditi dalle proprie ambizioni e speranze. Su di loro aleggia il mostro del mondo contemporaneo: il precariato, una condizione che sta investendo non solo la realtà lavorativa, ma anche quella personale. Vittime di un futuro sempre più incerto, i laureati lottano contro una porta che stenta ad aprirsi. Colti e disperati si ritrovano alienati nei call-center, dietro le casse dei supermercati o “sfruttati” in aziende che non ne riconosco capacità e meriti.
Il lavoro non è più un diritto, sembrerebbe un privilegio di chi conosce le persone giuste, di chi sa scalciare e scavalcare, dimenticando i valori della dignità umana.
La cultura per tanti non paga più, in particolare per i giovani dottori del Sud, a tre anni dalla laurea ancora la disoccupazione. Questo il triste quadro frutto di una ricerca Svimez (Istituto per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) del 2006. Le cause vanno ricercate in primo luogo per la scarsa mobilità sociale, la mancata ripresa economica e il sistema scolastico.
Attori in una società flessibile, dove flessibilità perde quel valore aggiunto che per molti significava maggiori assunzioni. Il precariato è una condizione umana, metafora della regressione del nostro sistema politico, economico e sociale. Per parlare di flessibilità come sinonimo di evoluzione bisogna garantire immediato lavoro altrove.

Condividi questo articolo qui:
Stampa questo post Stampa questo post