Parliamo di mobbing

Fu l’etologo Konrad Lorenz nel 900 ad impiegare il termine mobbing (da to mob= attaccare, accerchiare), per descrivere l’attacco sferzato da un gruppo di animali contro un membro della stessa specie per  allontanarlo dal gruppo.
Il primo a parlare invece di mobbing come condizione di persecuzione psicologica nell’ambiente di lavoro è stato alla fine degli anni ‘80 lo psicologo svedese Heinz Leymann, definendolo come una comunicazione ostile e non etica diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui solitamente contro un singolo, gradualmente spinto in una posizione in cui è privo di appoggio e di difesa. Il mobbing si manifesta con atti e strategie persecutorie o violenza psicologica  perpetrata da un superiore (mobbing verticale) o da colleghi (mobbing orizzontale), definiti  mobbers, nei confronti di un lavoratore, detto mobbizzato, con lo scopo di indurlo alle dimissioni o comunque ad uscire dall’ambito lavorativo. Un terzo attore in questa forma di violenza sono gli spettatori, in genere i compagni di lavoro della vittima che pur non essendo direttamente coinvolti nei comportamenti mobbizzanti, scelgono di restare in silenzio o comunque prendono le distanze dalla vittima per paura di ritorsioni, contribuendo ad aumentare l’isolamento del mobbizzato. Esempi di vessazioni perpetrate ai danni di un lavoratore possono essere ad esempio sottrazione ingiustificata di incarichi;  dequalificazione delle mansioni a compiti banali, insignificanti o con scarsa autonomia; decisionale (per esempio fare fotocopie o ricevere telefonate), così da rendere umiliante la continuità del lavoro; rimproveri e richiami anche per banalità; dotare il lavoratore di attrezzature di lavoro di scarsa qualità; limitare o interrompere l’usufruire delle informazioni necessarie per l’attività lavorativa;  continue visite fiscali in caso di malattia. In sintesi, si priva la vittima degli strumenti necessari allo svolgimento di una normale attività lavorativa. I motivi del mobbing possono essere molteplici: diversità religiosa o culturale rispetto al gruppo prevalente, invidia, carrierismo smodato, antipatia, frustrazione, ritorsione a seguito di comportamenti non condivisi (ad esempio denuncia ai superiori o all’esterno di irregolarità sul posto di lavoro), o per il rifiuto della vittima di sottostare a proposte o richieste immorali o illegali e così via; l’azienda può attuare questa strategia per indurre dimissioni volontarie di dipendenti divenuti “scomodi” il cui licenziamento provocherebbe problemi sindacali.
Il mobbizzato subisce da questo abuso psicologico conseguenze che fanno riferimento a problematiche di natura professionale, economica e psicologica, comportando inoltre ripercussioni sulla salute. Il mobbing infatti fa ammalare e i sintomi possono essere psichici (ansia, depressione, attacchi di panico..), fisici (insonnia, emicrania, cefalea, dolori muscolari, acidità gastrica, mancanza di appetito, appetito eccessivo…) e del comportamento (perdita di autostima, mancanza di fiducia in se stessi ed altro). Di mobbing si può parlare quando l’attività persecutoria dura più di 6 mesi e deve essere funzionale alla espulsione del lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso sfociano in specifiche malattie (disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) ad andamento cronico. Tutte queste situazioni ed in genere gli attacchi verbali non sono facilmente traducibili in “prove certe” da utilizzare in un eventuale processo, per cui è anche difficile dimostrare la situazione di aggressione. Se si decide di ricorrere alle vie legali denunciando il mobbing, occorre evitare che la denuncia possa esporre a ulteriori ritorsioni, così come a possibili querele per diffamazione, poiché, come detto precedentemente, è difficile dimostrare di essere vittima di mobbing. A questo proposito può essere utile raccogliere la documentazione delle persecuzioni subite, trovare colleghi disposti a testimoniare (anche se ciò è molto arduo) e tenere un diario di ogni atto mobizzante includente data, ora, luogo, autore, descrizione e testimoni, così come un resoconto delle conseguenze psico-fisiche di tali azioni vessatorie. Infine, qualora si fosse vittima di questo abuso, è importante non isolarsi, ma al contrario coltivare relazioni sociali, frequentare amici e rinsaldare rapporti familiari, per non cedere alla depressione e per resistere alla tentazione di liberarsi dalla situazione stressante abbandonando il lavoro.

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