L’eroe del sole ed una fine troppo frettolosa (1ª parte parte)
Questa non è una biografia, ma il veloce tracciato di una vita importante, vissuta in maniera importante, vissuta intensamente. E’, soprattutto, il triste ricordo di una fine ingiusta, di una sentenza affrettata e senza repliche, di una condanna inutile.
Dal 1941 in poi, i nomi di tutti i Generali tedeschi furono oscurati da quello di Erwin Rommel. La sua ascesa fu la più spettacolare: da Colonnello a Feldmaresciallo. Eppure era un outsider in due sensi: perché non acquisì i titoli per i gradi più elevati della gerarchia militare, non avendone avuto il tempo, e perché operò sempre in teatri operativi, fuori dai confini nazionali. La sua fama fu deliberatamente gonfiata non soltanto dalle sue gesta, ma da una calcolata valutazione di Adolf Hitler. Quest’ultimo, ben sapendo che l’opinione pubblica, in tempo di guerra, era avida di figure prestigiose, decise di scegliere due soldati (e due soltanto) da poter trasformare, senza pericolo, in eroi popolari: “l’uno al sole, l’altro nella neve”, disse di loro. Rommel, in Africa, doveva essere l’eroe del sole, Eduard Dietl, in Finlandia, quello della neve.
Entrambi si produssero ai margini del palcoscenico principale, ove Hitler intendeva monopolizzare la luce dei riflettori. Entrambi erano valorosi guerrieri e suoi strumenti fedeli. Erwin Rommel fu quello che meglio giustificò, con le proprie imprese, la scelta del Führer, il quale non lo gratificò come sarebbe stato giusto. E quando il nostro uomo si accorse che la sopravvivenza di Hitler e quella della Germania erano incompatibili fra loro, scelse il dovere verso la patria e si rivoltò contro il suo idolo.
Da ufficiale subalterno, nella Grande Guerra, si era guadagnato la più alta decorazione tedesca di quel tempo, la “Pour le Mérite”, dopo l’offensiva di Caporetto del 1917, contro le forze italiane. Ma la sua preparazione professionale non era considerata pari alle sue benemerenze di combattente. Infatti, nell’esercito post-bellico, gli venne affidata una carica di secondaria importanza. Non era giudicato idoneo a far parte della ristretta cerchia del futuro Stato Maggiore Generale. La voce secondo cui negli anni del dopoguerra sarebbe stato comandante di un reparto d’assalto nazista, è leggenda, fabbricata dai propagandisti nei giorni in cui salì alla ribalta, per associare la sua fama alle glorie del partito nazionalsocialista.
Per lui il grande momento ebbe origine dalle non comuni doti di istruttore e di scrittore militare. Dal 1929, prestò servizio alla Scuola di Fanteria di Dresda, ove rimase per quattro anni. Aveva una notevole capacità di esposizione ed animava le lezioni con esempi tratti dalle proprie personali esperienze di guerra. Possedeva un naturale talento per illustrare i punti dell’insegnamento, con schizzi geografici e topografici, materiale che raccolse in un libro, pubblicato nel 1937. Il volume ebbe un notevole successo ed attrasse l’attenzione di Hitler, attento lettore di opere di argomentazione militare che, dopo averlo voluto incontrare, gli affidò il comando del battaglione di scorta, nella sua marcia lungo i confini con la regione dei Sudeti e vide in lui un soldato gradevolmente alieno da ogni rigidezza ortodossa, col quale discutere sulle nuove concezioni belliche. Allo scoppio del conflitto, nel settembre del ’39, Rommel venne nominato comandante del Quartier Generale personale del Führer e ciò, naturalmente, accrebbe i contatti e le occasioni. Dopo la campagna di Polonia ed averlo a lungo corteggiato, chiese ad Hitler il comando di una Divisione corazzata. L’ottenne. Fu quello il segno caratteristico dell’acuto senso che aveva per l’occasione favorevole e per l’opportunismo nel coglierla al volo. La sua 7ª Divisione ebbe una parte di primissimo piano nello sfondamento della linea difensiva francese, anche se il brillante comportamento fu ulteriormente gonfiato dalla pubblicità che ne seguì, tanto che dopo la fine della campagna, quell’Unità venne retrospettivamente battezzata “La Divisione Fantasma”.
All’inizio del 1941, quando decise di inviare consistenti forze corazzate e motorizzate, per aiutare gli alleati italiani nell’invasione dell’Egitto, Hitler gli affidò il comando di quel contingente, denominato “Africa Korps”. Per nulla scoraggiato dalla situazione disastrosa che aveva trovato al suo arrivo, convinto che le unità inglesi erano di modeste proporzioni ed allo stremo delle forze, lanciò subito un’offensiva col primo scaglione del suo corpo di spedizione. La rapidità dell’attacco e le nubi di polvere, che avvolgevano la colonna tedesca, fecero credere che questa fosse molto più forte di quanto non era in realtà. L’esercito di Sua Maestà britannica fu annientato e respinto oltre il confine egiziano. Nei diciotto mesi che seguirono, la fama di Rommel, la “Volpe del Deserto”, crebbe a dismisura per i folgoranti contrattacchi che era in grado di sferrare, ogni qualvolta che veniva prematuramente annunciato l’annientamento delle sue forze. Con l’andar del tempo, gli uomini di quell’Armata finirono per avere più stima di lui che dei propri comandanti e la sua tattica di “babau della scatola a sorpresa” solleticò il loro senso dell’umorismo a tal punto, che l’ammirazione nei suoi confronti divenne quasi affettuosa.
Quando il comando della Grande Unità inglese passò nelle mani del Generale Bernard Law Montgomery, che poteva contare su di una formidabile superiorità di rinnovate ed accresciute forze aeree, di artiglierie e di carri armati, le cose cambiarono drasticamente. Il 23 ottobre 1942 gli Inglesi, che avevano paralizzato in modo irreparabile, con continui affondamenti di navi tedesche cariche di combustibile e viveri di conforto, ogni forma di determinante reazione nei loro confronti, sferrarono un massiccio attacco, con quella che entrò nella storia come la battaglia di El Alamein. Dopo quell’evento si manifestò la tendenza a parlare della “leggenda di Rommel” e ad insinuare che la sua reputazione fosse indebitamente gonfiata. Svalutazioni del genere si accompagnano spesso ai mutamenti di fortuna. Ma alla base di questa revisione di giudizi, c’era una ragione più profonda. Rommel era diventato un eroe per il nemico prima che Montgomery arrivasse sulla scena; la misura di rispetto che i soldati britannici avevano per lui era data dall’espressione “Un Rommel”, che essi coniarono per indicare un colpo magistrale, di qualsiasi genere, anche non militare. Questo atteggiamento di ammirazione costituiva un sottile pericolo per il morale delle truppe e quando Montgomery assunse il comando si fece di tutto per sfatare la “leggenda Rommel” e per crearne una intorno a “Monty”. Da notare che i sentimenti che l’inglese nutriva nel suo intimo, erano attestati dal fatto che egli faceva raccolta di fotografie della famigerata “Volpe del Deserto” e le attaccava alle pareti, intorno alla sua scrivania. Egli dimostrò anche in altri modi il suo grande rispetto per l’avversario. In ogni valutazione comparativa, inoltre, bisogna tenere conto del fatto che quando Montgomery e Rommel si trovarono di fronte in battaglia, quest’ultimo era non soltanto debilitato da un’infermità fisica, ma tatticamente minorato da una grave inferiorità di forze e penuria di carburante. Che il generale tedesco abbia commesso degli sbagli, è incontestabile, ma quando si combatte contro formazioni superiori, qualunque svista può condurre alla disfatta, mentre chi dispone di una grande superiorità di forze può rimediare efficacemente anche ad una serie di errori.
La sua pecca più evidente, fu la sua tendenza a non tener conto degli aspetti amministrativi della strategia, anche se i membri del suo Stato Maggiore affermarono che divenne più avveduto con l’esperienza. Più tenace e persistente era la sua riluttanza a delegare l’autorità, difetto che appariva molto irritante ai propri subordinati. Non solo cercava di fare tutto da sé, ma voleva anche essere presente ovunque, così che spesso perdeva i contatti con il proprio quartier generale. Aveva, di contra, il meraviglioso dono di comparire, proprio nel momento cruciale, sul punto di più vitale importanza e di imprimere uno slancio decisivo all’azione.
L’adorazione dei suoi uomini, e non solo, era la sua grandissima peculiarità: un aspetto che vedremo.