Jazz campano: “Maschere”, il raffinato esordio di Andrea Abbadia
C’è sempre un po’ di malinconia nel ritorno dalle vacanze, una polaroid da conservare, un po’ di sabbia nello zainetto da ripulire e, se si è stati fortunati come stavolta io, si può tirare fuori dal bagaglio qualcosa che resterà a lungo. Il fatto è che quest’anno mi sono ritrovato in compagnia di un piccolo e inaspettato gioiello del jazz: “Maschere” (WoW Records), in cui Andrea Abbadia, al suo esordio, s’inerpica al finis terrae del suo Sax baritono, insolitamente leader, in una ben affiatata formazione che ha come compagni d’avventura il piano di Lello Petrarca, il contrabbasso di Luca Varavallo e la batteria di Alex Perrone.
Un eccellente lavoro dove il ruolo degli strumenti cede volentieri il passo a un forte interplay tra i musicisti tanto da risultare un convivio al quale si è stati invitati. Un convivio che ha le sue radici più profonde nelle precoci esperienze giovanili dei quattro, le più disparate, in provincia di Caserta; inspessite nel Regio conservatorio di San Pietro a Majella (il primo Istituto europeo deputato all’insegnamento della musica); e maturate negli incontri e nelle numerose partecipazioni ai festival più prestigiosi dedicati al Jazz.
E della bontà dell’album non possono esserci dubbi se a complimentarsi per il lavoro svolto è addirittura un mostro sacro come il trombettista Fabrizio Bosso che, sulle note di copertina, tesse le meritate lodi per la cura e per l’idea interessante che in “Maschere” viene sviluppata in sette “belle composizioni e arrangiamenti molto ben scritti”.
Eccetto che la delicata “Song for Nara” scritta da Varavallo e Girardi, tutte le altre composizioni, radicate e cosmopolite al contempo, sono di Andrea Abbadia che dà l’idea di averle cesellate, oltre che sulle caratteristiche di ogni musicista, sull’idea di testimoniare un proprio originale tributo a chi nel tempo ha saputo ispirarlo, tanto dal punto di vista artistico quanto da quello ideale, intimo e personale. È il raffinato racconto di una vita, anche quella nostra, che oggi più che mai ha bisogno di spazi, e di dischi come questo, per togliersi le “maschere”. Good luck Andrea!