Enogastronomia: dalla Campania al Lazio, il patrimonio della tradizione che va oltre l’economia

«Il cibo è parte integrante del patrimonio culturale italiano e dell’immagine del nostro Paese nel mondo». Questa la sintesi politica e tecnica di ciò che rappresenta da sempre la nostra incredibile varietà enogastronomica, la bellezza e bontà di prodotti di un’Italia che attraverso questo particolare settore economico muove ogni anno il 25% del PIL nazionale. Con cifre da capogiro, nell’ordine di oltre 44 miliardi di euro, ma soprattutto con una sinergia sempre più intelligentemente stretta con il settore fratello, quello del turismo, i piatti italiani sono da sempre garanzia di un’esperienza unica, da nord a sud, dalla pizza alla pasta, dai formaggi ai salumi, dai vini ai liquori. La nostra storia, che a livello enogastronomico e turistico ha subito un’accelerazione dopo le vicende della Seconda guerra mondiale, con l’abbandono graduale della “cucina povera”, tipica della situazione sociale d’inizio ‘900, come pure per la parziale colonizzazione postbellica della cultura anglosassone, si ritrova pienamente nel concetto di convivialità della tavola. È proprio in questo brevissimo assunto che si esplicitano totalmente le differenze con il resto del mondo. La “tavola”, che sia quella domestica, di un ristorante o più semplicemente di un bar, assume la straordinaria funzione di aggregante culturale, sociale, economico e politico. In Italia tutto si muove intorno ad un tavolo imbandito. Rapporti sociali, amicizie, investimenti, perfino addii, tutto è sempre almeno “en passant” riconducibile ad uno dei nostri locali storici, diventati negli anni dei riferimenti territoriali esattamente come i tanti straordinari beni culturali che all’estero ci invidiano. La Campania e il Lazio, tra le regioni con i piatti tipici più conosciuti al mondo, ad esempio la globalizzata pizza o l’imitatissima cacio e pepe, sono anche tra i territori dove maggiormente i locali commerciali rappresentano parte integrante della storia locale, della tradizione, della comunità e del turismo. Ad esempio a Caiazzo, tra le belle colline del casertano, uno dei riferimenti enogastronomici della provincia, che ha visto scorrere la vita di intere generazioni di cittadini, è il ristorante La Paglia dei fratelli Edoardo e Giuseppe Paglia. Inizialmente sorto come Snack Bar, durante il mitico anno dei mondiali di Bearzot e Pertini, l’indimenticabile 1982, a riprova dell’evoluzione dei territori grazie alla già menzionata necessità di convivialità gastronomica, oggi è un vero e proprio bene culturale dell’area casertana, in continua crescita grazie all’attento studio dei nuovi piatti di Vito Paglia, la giovane generazione di famiglia che sta prendendo in mano le redini di un pezzo di tradizione italiana. La Paglia, diventato presto luogo di riferimento per molti cittadini e turisti, tra l’altro anche della mia gioventù, dimostra, come ribadisco da tempo attraverso le mie ricerche, che i beni culturali non sono e non possono essere rappresentati esclusivamente da cattedrali, aree archeologiche, musei, regge o borghi medievali. Ciò che classicamente consideriamo “culturale” è in effetti solo parte di ciò che possiamo e dobbiamo definire patrimonio storico di un territorio. I beni culturali sono espressione dell’ingegno umano, della vita di una comunità, delle attività lavorative, di condivisione, di svago, e per tale motivo non possiamo segregarne fuori le espressioni più moderne come una fabbrica, un hotel, la bottega di un artigiano o un ristorante. Tutto ciò che rende vivo il territorio e si assesta su di esso diventando “tradizione” è, per me e per tanti altri studiosi che oggi superano alcune datate convenzioni accademiche, un bene storico da preservare attentamente. Ciò non vuol dire, però, restare ancorati al passato, come nel caso dei nuovi locali che, anch’essi innovati nel linguaggio socio-enogastronomico dopo lunghi anni d’esperienza sul campo, uniscono piatti secolari con le già menzionate nuove abitudini che abbiamo, soprattutto in Campania e Lazio, mutuato dall’occupazione angloamericana stabilizzatasi con l’ingresso degli Alleati a Napoli il primo ottobre del 1943. Non a caso, da anni con altalenanti declinazioni culinarie, si assiste al fiorire di ristoranti che hanno trasformato l’abitudine “paninara anglosassone” in piatti gourmet della cucina italiana. È il caso, ad esempio, dello storico pizzaiolo casertano Marco Natale, che oggi oltre ad offrire una varietà incredibile di pizze sempre più elaborate e gustose, inserisce nel menù la contaminazione anglosassone con panini trasformati in una scusa. Sì, perché attraverso i prodotti italiani, come la carne di scottona o i pomodori delle varietà autoctone, riesce a convertire in tradizione interna una classica contaminazione proveniente direttamente dall’estero, quella a cui ci siamo piegati dopo l’invasione a stelle e strisce dell’ultimo conflitto mondiale. Ma nel Lazio è anche il caso della Trattoria La Saracena di Segni (Roma), dove la tradizione della pasta fatta a mano è obbligo morale verso il territorio e mantenimento di una cultura antica che caratterizza i sapori di una regione che offre prelibatezze storiche come la cacio e pepe. Dai carciofi alla giudia, uno dei più antichi sapori romani direttamente mutuati dalla tradizione ebraica, fino ai fregnaquanti fatti a mano con cicoria e pecorino romano, passando ovviamente dalla eterna carbonara, i colli laziali sanno consolare l’animo umano e riconciliarlo con l’universo. Insomma, l’enogastronomia italiana, includendo tutti i piatti tipici delle 20 stupende regioni che ne compongono il variegato puzzle, si pone sempre più come patrimonio storico-immateriale della nostra cultura. Un unicum che si affianca di diritto ai beni tangibili fatti di pietre, archeologia, pitture, sculture, paesaggi, regge, borghi antichi o marinari. Una porzione assolutamente fondamentale del nostro DVA che dobbiamo continuare sempre più a valorizzare non solo in ottica economica ma, ritengo, in ottica storica, morale, comunitaria. L’Italia è anche e soprattutto la sua cucina. Buon appetito a tutti!

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