Dietro quel sorriso
Fu nel 1503 che tornò a Firenze, dopo un lungo peregrinare, e si iscrisse di nuovo tra i pittori. Di quell’epoca, la sola opera conservata, che gli si possa attribuire con certezza, è il ritratto celeberrimo del “sorriso”. L’autore stesso ne aveva celebrato, in un passo del suo “Trattato”, l’immagine ideale: “Tutti i sensi, insieme con l’occhio, la vorrebbero possedere, e pare che a gara vogliano combattere con l’occhio. Pare che la bocca se la vorrebbe pigliare per sé in corpo, l’orecchio piglia piacere l’udire le sue bellezze, il senso del tatto la vorrebbe penetrare per tutti i suoi meati, il naso ancora vorrebbe ricevere l’aria che al continuo da lei spira”. Monna Lisa si ama incondizionatamente, al di là di ogni superstizione. Anche se, per il passato, qualcuno ebbe l’ardire di affermare: “Cosa sarebbe la sua gloria senza le lodi di Vasari, ripetute come un’antifona dai suoi seguaci?”. Quel quadro e la sua fama letteraria si sono da sempre appoggiati, l’uno all’altra, come due teoremi. Hanno concorso a formare la verità riconosciuta dell’esistenza di quella tela, esistenza approssimativa che ondeggiava, tra il nulla delle opere del pittore greco antico Apelle e la leggenda di una perfezione perduta. Non c’è stato artificio, né peggiore né più costruttivo, dell’iridescenza “culturale” di cui è sempre stata avvolta. È infatti impossibile, per i comuni amatori della pittura, guardare la tela con occhio sgombro ed immaginare freddamente ciò che poté essere, prima del suo deteriorarsi. Ma ciò che rimane, rende edotti sull’arte prodigiosa del genio di Leonardo Da Vinci (15 aprile 1452 – 2 maggio 1519) e sulle sue intenzioni. Richiamandoci agli sforzi dei copisti, anche i profani possono comprendere a che punto le linee del viso, del busto e delle mani, siano state calcolate per imprimere, senza sforzo, un movimento continuo alla figura.
Il dipinto è così pregno del demone dell’artista, da far dimenticare che si tratta del ritratto, molto somigliante, se si presta fede al Vasari, di una fiorentina ventiseienne, i cui tratti dovettero ispirare all’autore, un segreto legame con il suo universo personale. Altrimenti come si spiega il fatto, che egli tralasciò tante commesse principesche, per ritrarre, per tre lunghi anni, la moglie di un semplice borghese fiorentino?
Non è facile notare, di primo acchito, quali siano state le affinità della Gioconda con l’arte di Leonardo e come essa, in qualche modo, ne abbia costituto il compimento. Contemporanea ad un’altra sua opera, la “Sant’Anna, la Vergine e il Bambino”, come questa delinea l’universo della creazione vinciana, attraverso tre moduli essenziali: il chiaroscuro, il paesaggio ed il sorriso. “Tutto ciò che fa il peggio della vita umana, conduce al sentimento della sua precarietà, ma soprattutto della sua ambiguità originaria”, diceva Giorgio Vasari (1511-1574). Infatti, la consapevolezza di una posizione ambigua dell’uomo, tra l’orribile e lo squisito, tra il certo e l’illusorio, si accentrò in Leonardo fin dai primissimi anni di attività. “Nella sua opera di pittura vi è uno sviluppo parallelo del chiaroscuro. È anche probabile che i ritocchi e le vernici abbiano accentuato il tocco d’ambra scuro dei quadri conservati, ingannando gli originali primi effetti del suo sfumato [lett.]”, aggiungeva il Vasari, che fu architetto, pittore e storico d’arte. La sua osservazione sui toni chiari del ritratto di Monna Lisa ebbe inizialmente dello sconcertante, ma sono proprio i contrasti indicati tra i chiaroscuri, che il Da Vinci precisava nelle sue teorie: “L’ombra deriva da due dissimili cose, l’una dall’altra, imperocché l’una è corporea e l’altra spirituale, corporeo è il corpo ombroso, spirituale è il lume, adunque lume e corpo son cagione dell’ombra [lett.]”.
Lo sfumato, come sostengono gli esperti, è, innanzitutto, una soluzione tecnica, poiché fonde i contorni e la massa plastica, in una realtà nuova, dove il colore perde la sua autonomia, e conferisce loro una qualità levigata e continua. Il ritratto di Monna Lisa dimostra a quale sorprendente delicatezza pervenga così il modello. “La pittura è promozione poetica di un mondo crepuscolare e velato….la vera bellezza è dunque legata al chiaroscuro….essa consiste infine nel rapporto intimo della luce e dell’ombra [lett.]”, spiegava il citato storico. Infatti, quando volle fondere, in una sola completa immagine, l’equivocità e l’aspettativa umana, il pittore associò alla penombra un sorriso incerto ed uno sguardo diretto e sicuro, rivolto all’osservatore. Il motivo del “risolino”, così come lo ha illustrato, è, a detta di molti, il contrassegno supremo, il timbro della sua stessa anima. Gli scultori della generazione precedente lo avevano imposto all’arte fiorentina e l’insistenza su quel preciso tratto faceva parte di una poetica originale ed era legata ad uno stile ben rigoroso. Ma il sorriso acquistò, in Leonardo, un altro valore. Fu la rappresentazione della realtà psichica e la manifestazione di una sensibilità ripiegata su sé stessa. Questo secondo aspetto venne approfondito mediante un’analisi minuta del gioco dei muscoli e degli occhi, nel momento in cui i loro movimenti erano appena abbozzati, non quando il volto era dilatato, in allegria ed esplicita serenità. Il sorriso è, ad un tempo, un evento spontaneo del corpo ed un dato simbolico. La qualità espressiva è così insistente e l’incertezza dell’effetto è tanto palese quanto possibile, che l’irraggiamento è apparentemente sospeso e sostenuto da un’espressione confusa, di esitazione ed attesa. Proprio nella Gioconda, il gioco delle espressioni contrarie perviene, grazie al sottile sviluppo tonale, al punto di ambiguità voluto da Leonardo. Egli postula, ed in anticipo, rende superflui i commenti letterari, di cui questo “capolavoro insidioso” è stato suffragato. Non è, del resto, che l’adattamento profano di un effetto calcolato ed ottenuto, con più profondità, nella tela della “Sant’Anna”.
Bisogna ricondurre i paesaggi della “Gioconda” e della “Sant’Anna” agli studi scientifici, che il Maestro perseguì in quegli stessi anni sull’idraulica, sui problemi del suolo e sulla cosmologia. Nel “Codex Leicester”, noto anche come “Codice Hammer” (oggi di proprietà del miliardario americano Bill Gates), redatto tra il 1504 ed il 1506, dove si trova sviluppata la straordinaria “fenomenologia” dell’acqua, egli resuscitò l’analogia classica tra il mondo ed il microcosmo umano. “Potremmo dire la terra avere anima vegetativa, e che la carne sia la terra….li sua ossi sieno li ordini delle collegationi e de sassi…..[lett.]”, scriveva. Questa visione organica dell’universo implica una vera interiorizzazione del paesaggio. Le lontananze soffuse di verde e di azzurro dell’atmosfera, i picchi, le valli, i pendii, tutti questi aspetti di un mondo scaturito dall’erosione e foggiato dall’attività sorda di una vita incessante, acquistano un potere immediato sull’uomo, che è in rapporto con queste metamorfosi. Così la cerchia montana, che corona il sorriso della Gioconda, è nella stessa essenza della figura che si prolunga. Il paesaggio è, come l’essere umano, parte integrante di uno stesso universo cosmico. Quei labirinti rocciosi non hanno nulla di “decorativo”. Sono realmente le ossa della terra. La loro morfologia è la risultante di qualche evento lontano e la sintesi, resa evidente dalla pittura, di quelle meditazioni geologiche.
La prima educazione del “bastardo di un notaio di Vinci” avvenne in stretto connubio con la natura e mai si spense in lui l’interesse per il mondo organico, punto fermo e reale nella narrazione, dal sapore di leggenda, della biografia vasariana. Monna Lisa è stata, di volta in volta, amata ed idolatrata, irrisa e vandalizzata. Rimane l’opera più iconica ed enigmatica della pittura mondiale, il ritratto più celebre della storia, una delle bellezze d’arte più seducenti in assoluto.
Dietro quel sorriso, quasi impercettibile ed avvolto da un indecifrabile alone di mistero, che ha ispirato fiumi di parole, nelle pagine di critica, di letteratura e, persino, nei trattati psicoanalitici, si è da sempre aperto un mondo infinito, indagato, supposto, agognato, strettamente personale, di palpitanti, emozionanti e ricercate sensazioni.