Infaticabili

“Per liquidare un popolo s’incomincia con il liquidare la loro memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce di un’altra cultura, inventa per loro un’altra storia”. Milan Hubl.
E quindi pro-memoria, è necessario ritornare ai primi anni del nostro stato unitario, quando il governo di Torino impiegò 120.000 soldati per liberare e congiungersi “fraternamente” con gli “incivili, beduini e vaiolosi” abitatori delle terre del Sud. I meridionali erano così incivilmente ostili all’unità che Cavour, stizzito, scrisse che essa andava imposta con “…la forza morale e se questa non basta, la fisica”; ed anche “…non si perda tempo a far prigionieri”.
Già, …i prigionieri di guerra ma anche i detenuti politici, per non tacere dei soldati renitenti, della delinquenza comune, dei cospiratori repubblicani e di interi paesi accusati di brigantaggio e di manutengolismo. I piemontesi si trovarono in piena guerra civile a non avere più come “ospitare” nelle patrie galere l’enorme massa di “irriconoscenti”, divenuta ormai una seria minaccia per il neonato Regno d’Italia. Per almeno un decennio il Governo italiano tentò con ogni mezzo di disporre di una qualsiasi landa desolata dall’altra parte del pianeta per stabilirvi una colonia penale per migliaia di meridionali, capace di recidere definitivamente i vincoli sentimentali che legavano indissolubilmente questi alla loro terra.
Per l’allora presidente del Consiglio Menabrea e il ministro degli Esteri Visconti Venosta occorreva aggiungere alla forca (già implacabilmente praticata), la pena accessoria della deportazione, in quanto “presso le nostre impressionabili popolazioni del Mezzogiorno la pena della deportazione colpisce più le fantasie e atterrisce più della stessa pena di morte”. Si mise così all’opera l’attiva rete di rappresentanti diplomatici piemontese, che tenacemente cercò il sostegno di altri governi per impiantare una colonia penale, una lontana Caienna; si insistette sul Borneo, sull’isola di Socotra (al largo del Corno d’Africa), si pensò alla Tunisia, al Mar Rosso, alla Patagonia, all’est dell’Australia ma alla fine, solo per il rifiuto straniero, non se ne riuscì a far nulla. Ci pensarono gli stessi meridionali a risolvere il problema dei savoiardi: l’unica alternativa alla ribellione già sperimentata e fallita, e non avendo altro che gli occhi per piangere, partirono a milioni da dove prima non andava via nessuno …e non sono ancora stanchi.

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