Sufficienza della legalità formale quando il soggetto regolatore è un organo rappresentativo della comunità. Parte I
La potestà regolamentare è una necessaria espressione dell’autonomia di cui godono gli enti locali, che tradizionalmente ha avuto ad oggetto tanto la disciplina dell’organizzazione dell’ente, quanto delle funzioni assegnate con legge.
Potestà regolamentare riconosciuta espressamente dalla riforma del Titolo V della Costituzione all’art. 117, co.6, e confermato dall’art. 4 della legge n. 131 del 2003.
Se la ricostruzione della potestà regolamentare riconosciuta in generale agli enti locali risulta essere un’operazione ‘non necessaria’ per quanto predetto, più ardua risulta la ricostruzione della potestà regolamentare indipendente in capo ai soggetti esponenziali della comunità.
Per esaminare la potestà degli enti locali di emanare regolamenti indipendenti e i limiti per l’esercizio della stessa, occorre, sia pur brevemente, chiarire come tale potestà possa inserirsi nel vigente ordinamento.
Il dato da cui partire è sempre il co. 6 dell’art. 117 Cost. che, subito dopo aver risolto la questione del riparto di competenza relativa alla potestà regolamentare tra Stato e Regioni, recita: «I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite».
Tale disposizione costituisce indiscutibilmente il fondamento della potestà regolamentare degli enti locali e, in questo contesto, il principio di legalità verrebbe necessariamente inteso nella sua accezione formale: ciò nel senso che, dovendosi considerare la Costituzione come la legge delle leggi, gli enti locali possono emanare sempre regolamenti, altresì indipendenti, perché tale potere è riconosciuto, direttamente dalla Carta: il che induce a ritenere legittima una potestà regolamentare anche indipendente.
Pur tuttavia, esistono altre ragioni, meritevoli di essere portate in auge, che avvalorano e rafforzano la tesi della sufficienza della legalità formale quando il soggetto regolatore è un ente locale.
La riforma del Titolo V della Costituzione, attuata con la legge costituz. n. 3 del 2001, ha comportato una considerevole rimodulazione dell’ordinamento della Repubblica italiana in senso più spiccatamente autonomistico e regionalistico, superando il precedente regime costituzionale, impostato su un regionalismo sostanzialmente duale, funzionale alla conservazione di supremazia dello Stato nei confronti di autonomie dotate di pochi poteri e sottoposte a stretti vincoli e controlli.
Di tale riforma costituzionale, di particolare rilievo, oltre al riconoscimento espresso della potestà regolamentare degli enti locali, vi è l’esplicito riferimento agli statuti, anche se, sia dal punto di vista ontologico sia per il richiamo fatto da leggi precedenti, non era stato mai messo in discussione che gli enti locali avessero come necessaria base del loro ordinamento lo statuto. La nuova Costituzione contiene un’esplicita affermazione dell’autonomia statutaria di questi enti nel nuovo testo dell’art. 114, 2 comma, il quale prevede per essi «propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione».
E l’aspetto più saliente della nuova disciplina risiede proprio nella limitazione dei poteri ordinamentali dello Stato a settori e materie specificamente individuate.
Non è che non vi siano limiti all’autonomia statutaria degli enti locali: basta riferirsi alla competenza esclusiva statale della legislazione elettorale e degli organi di governo (art. 117, co. 2, lett. p), della Cost.); e degli ulteriori limiti e vincoli che discendono indirettamente dalla Costituzione, laddove riconosce allo Stato poteri di intervento legislativo esclusivo per il coordinamento statistico, informativo ed informatico, nonché poteri di coordinamento finanziario e contabile. Devono ritenersi vincolanti anche quelle regole in materia organizzatoria che derivano da leggi ordinarie con valore di principi e che, pertanto, sono applicazione diretta e generale: si richiamano, in proposito, i principi di pubblicità, di motivazione, di accesso, di trasparenza indicati dalla L. 241/1990.
Non c’è dubbio che, nonostante questi limiti, l’ambito che rimane di pertinenza dell’autonomia locale è nel nuovo ordinamento più ampio del precedente: basta confrontare i settori che possono essere ora interessati dagli interventi del legislatore ordinario con quelli già disciplinati dal T.U. ( D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267), che contiene i principi del precedente ordinamento provinciale e comunale, per rendersi conto della differenza. E neppure la circostanza che la nuova disciplina costituzionale non limiti espressamente ai soli principi la competenza legislativa statale nella materia, può far ritenere che non sussistono altri limiti per tale competenza, i quali possano ricavarsi indirettamente, oltre che dal principio autonomistico espresso dall’art. 5 della Cost., dal contestuale riconoscimento dell’autonomia statutaria, alla quale non potrà essere precluso, tra l’altro, di caratterizzare ulteriormente, la forma di governo e il ruolo degli organi.