No news, bad news
Il profondo malaffare emerso in questi giorni in casa Lega non dovrebbe stupire più di tanto, la presunta purezza leghista è smentita all'origine dalla storica bustarella Montedison di 200 milioni, ritirata nei primissimi anni novanta per conto di Bossi dall'allora tesoriere Patelli e per la quale il Senatùr è stato condannato in via definitiva ad 8 mesi. Neanche stupisce l'autoassoluzione collettiva di militanti armati di scope che alla pulizia etica preferiscono quella etnica, individuando, come sempre, fuori da sé le ragioni dei numerosi fallimenti della loro classe dirigente, che si chiamano CrediEuroNord, villaggi in Croazia, investimenti in Tanzania, Expo 2015, Pedemontana, sanità, quote latte, Malpensa, porcellum, scuola Bosina, quella di Adro e così a lungo di seguito, fino a ricordare che da vent'anni i leghisti occupano le più alte posizioni di governo, sottogoverno e sottobosco di potere a livello di enti e società di emanazione pubblica. Non è una novità neppure il dissolversi del “Cerchio magico” se esotericamente è stato sostituito dai “Barbari sognanti”, il correntone interno di Bobo Maroni, quello delle impronte digitali ai bambini Rom, quello della Guardia Nazionale Padana che è scampato alla condanna per banda armata solo perchè si è nel frattempo provveduto ad eliminare per legge il reato, quello che proprio in questi giorni ha procurato all'Italia l'onta della condanna dell'Alta Corte di Strasburgo per violazione dei diritti umani per gli immigrati morti nel Canale di Sicilia. Malauguratamente non è una notizia neanche l'atteggiamento dei “professionisti dell'opinione” richiamati in servizio da giornali e televisioni a tessere l'apologia leghista giustificando, comprendendo, scagionando, minimizzando, assolvendo. Bruno Vespa celebra l'Umberto come uno statista fortuitamente incappato in un banale incidente di percorso; Pierluigi Battista si strappa le vesti preoccupato dal destino della questione settentrionale; Mentana, in affanno e in mezzo al verde, diminuisce, contrapponendo ed enfatizzando un pezzetto marcio di sud; Luca Telese tratteggia un ritratto struggente d'un Leader “con la cicatrice sulla corazza”; Beppe Severgnini nel suo seguitissimo blog si dispiace: “il povero Trota sta pagando un prezzo molto salato, alla fine si è dovuto dimettere ma se andassimo in Puglia, Calabria, Campania o Sicilia dovrebbero distribuire moduli per le dimissioni come volantini” e poi dalla Bignardi fa risalire il nepotismo della Lega al regno borbonico (e mò basta mò! Che c’entrano i Borbone coi mariuoli?). Niente di nuovo dunque, tra i nemici del Sud, la Lega è solo quello più evidente e forse neanche il più pericoloso; troppi altri ce ne sono, funzionali al sistema che vuole il sud condannato al ruolo d’imputato, nel solidissimo paradosso tutto italiano per il quale la questione più grave non è l'arretratezza della sua area più povera ma il piagnisteo delle sue regioni più ricche.