Una inutile bravata
Nella notte tra il 9 ed il 10 ottobre 1943, lungo la linea “Victor”attraversata dal fiume Volturno, si svolse una cruenta battaglia che vide impegnate le truppe della Quinta Armata Americana, comandata dal generale Clark, e quelle inglesi della 52esima Divisione, contro le truppe tedesche appostate sui monti circostanti Bellona: Monte S. Croce, Monte Grande e Monta Rageto. Da quelle alture le artiglierie germaniche riuscivano a frenare l’avanzata delle truppe Alleate abbattendo i ponti che i genieri americani tentavano di costruire sul fiume Volturno utilizzando ampi galleggianti. Solo con l’intervento dell’aviazione, gli Alleati riuscirono ad annientare le postazioni tedesche e molti militari persero la vita, mentre altri riuscirono a fuggire scendendo a valle. La mattina del 17 ottobre si diffuse la notizia che gli Alleati stavano percorrendo il viale dei platani e molti bellonesi, increduli, accorsero per salutare i vincitori. Tutti furono presi da una incontenibile euforia, quando notarono un numero imprecisato di automezzi ed i mastodontici carri armati Sherman, impegnati a liberare la strada dai platani abbattuti dai tedeschi con l’intento di rallentare l’avanzata. Trascorsero alcuni giorni ed un’altra notizia si diffuse in paese: nei pressi della masseria De Crescenzo, in contrada Cesa, era stato notato un soldato tedesco, con la divisa ridotta a brandelli, che se ne stava seduto poggiando le spalle al tronco di un’antica quercia. Un giovane sergente dei paracadutisti, indossata la divisa si avviò, con fare baldanzoso, in quei pressi per “catturare il nemico”. Spinti dalla curiosità, molti bellonesi accorsero in piazza Umberto I e, dopo alcuni minuti, notarono il paracadutista che, percorrendo via Diaz, strattonava il prigioniero minacciandolo con la pistola e colpendolo con violenti calci e pugni. Il prigioniero si fermò nei pressi del Bar Diaz e, sul suo volto emaciato, si notava la stanchezza delle notti trascorse in battaglia. Appoggiato al muro mostrò, piangendo, le foto dei suoi cari invitando il paracadutista, con un movimento della mano, a non sparare. Ma egli, impietoso, continuava ad inveire ed a percuoterlo urlando, in tedesco, parole dal tono minaccioso. In un italiano stentato, il prigioniero diceva: ”Questo essere mio bambino. Non ammazzare me. Io soldato, ora essere prigioniero”. Ma lo spavaldo paracadutista continuava ad inveire. Il tedesco guardava il suo aguzzino con occhi colmi di lacrime e dalla folla silenziosa si udì la voce di Domenico Nardone, da tutti chiamato zio Menicuccio, che disgustato per quella inutile aggressione, temendo il peggio, invitava il paracadutista a porre fine alla sua bravata: “Basta, lascialo stare! L’eroe avresti dovuto farlo in battaglia, sulle montagne!”. Il Comando Alleato ubicato nel palazzo Marra in via XX settembre, appresa la notizia della cattura di un soldato tedesco, inviò due graduati per prelevarlo e consegnarlo alle Autorità Alleate. Forse il provvidenziale intervento di Domenico Nardone salvò la vita ad un soldato che, come tanti altri, aveva ubbidito agli ordini ricevuti.